Questo grafico mostra come il coronavirus colpisce il cervello
In che modo il coronavirus colpisce il cervello? E cosa determina il danno cerebrale da Covid-19? La risposta arriva da un nuovo articolo pubblicato su Jama Psychiatry da un team di ricerca guidato dalla School of Medicine della Washington University a St. Louis, nel Missouri, che ha coinvolto i ricercatori del New York State Psychiatric Institute e della Columbia University di New York. L’analisi valuta i possibili meccanismi cellulari e molecolari che determinano il danno cerebrale da Covid-19, esaminando la sequenza di eventi che porta a sintomi neuropsichiatrici a breve e lungo termine e alla persistenza di postumi nei pazienti Covid.
I segni del danno cerebrale da Covid
“Alcuni pazienti manifestano la perdita del senso dell’olfatto (anosmia), deficit cognitivi e dell’attenzione (nebbia cerebrale), ansia di nuova insorgenza, depressione, psicosi, convulsioni e persino comportamenti suicidari – indicano i ricercatori – . Questi sintomi possono presentarsi prima, durante o dopo i sintomi respiratori di Covid-19 e non sono correlati all’insufficienza respiratoria, suggerendo un danno cerebrale indipendente”. Alcuni di questi postumi di Covid-19, che figurano in una condizione nota anche come long Covid o sindrome post-Covid, posso manifestarsi nel 20-70 percento dei pazienti che superano la malattia e persistere anche per mesi, secondo quanto rilevato dagli studi di follow-up finora condotti in Germania e nel Regno Unito.
I meccanismi biologici e molecolari
La sequenza di eventi che porta al danno cerebrale non è stata completamente chiarita da prove definitive, ma il crescente numero di studi ha portato i ricercatori ad ipotizzare ad alcuni meccanismi che possono indurre una nuova insorgenza o la riacutizzazione di sintomi neuropsichiatrici a lungo termine. “Infettando le cellule attraverso i recettori dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2 – spiegano gli studiosi – Sars-Cov-2 può danneggiare le cellule endoteliali, provocando infiammazione, trombi o danni cerebrali. Inoltre, l’infiammazione sistemica porta alla diminuzione delle monoamine (neurotramettitori e modulatori coinvolti nei processi come le emozioni e alcuni tipi di memoria) e dei fattori trofici che agiscono sulle cellule nervose, oltre che all’attivazione della microglia, con conseguente aumento del glutammato, dell’N-metil-D-aspartato,e dell’eccitotossicità”.
La comprensione di questi aspetti, riassunti in figura, potrebbe indirizzare gli interventi per ridurre l’insorgenza di sintomi neuropsicologici a lungo termine nei pazienti Covid. “Questi trattamenti possono coinvolgere antagonisti delle citochine (etanercept, infliximab), del recettore dell’N-metil-D-aspartato (ketamina), così come le vie antifiammatorie (aspirina, celecoxib) e modulatori della via della chinerenina (minociclina) – suggerisce l’autrice corrispondente della ricerca, la psichiatra Maura Boldrini, professore associato di Psichiatria presso il Columbia Medical College ed direttrice del laboratorio di Neurobiologia umana della Columbia University Irving Medical Center e New York State Psychiatric Institute – . L’attenuazione delle sequele cognitive, emotive e comportamentali post-Covid a lungo termine ridurrebbe il carico della malattia”.