Questo buco nero ha molta fame: da 10 anni sta mangiando una stella più grande del Sole
Gli astronomi della NASA, grazie a tre distinti telescopi a raggi-X, hanno osservato un buco nero supermassiccio che a due miliardi di anni luce da noi è intento a divorare una stella più grande del nostro Sole. Il fenomeno fu individuato per la prima volta il 2 aprile del 2005 dal telescopio Chandra, così chiamato in onore del fisico statunitense di origine indiana Subrahmanyan Chandrasekhar, ma nel corso degli anni tale processo è stato registrato a più riprese anche dai telescopi Swift Observatory e XMM-Newton dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA). Ciò significa che il buco nero, chiamato XJ1500 + 0154, si sta ‘nutrendo' della stella da oltre dieci anni, un evento del tutto inusuale poiché i buchi neri solitamente annientano le stelle con tempistiche di molto inferiori.
L'evento viene monitorato osservando la cosiddetta “tidal disruption event” o TDE, un fenomeno generato dalle immani forze gravitazionali scatenate dal buco nero mentre strappa l'energia della stella consumandola. Durante questo processo il materiale e i gas stellari raggiungono temperature di milioni di gradi; quando precipitano nel buco nero, un vero e proprio ‘cuore di tenebra', vengono emessi bagliori di raggi-X, sintomo della ‘digestione' ad opera di quest'ultimo. Non a caso alcuni studiosi chiamano queste emissioni veri e propri ‘rutti' atronomici.
“Decine di eventi TDE sono stati rilevati dal 1990 – ha sottolineato l'autore principale dello studio Dacheng Lin, astronomo presso l'Università del New Hampshire – ma nessuno è rimasto brillante per quasi tutto il tempo come questo”. Il consumo della stella sta accrescendo le dimensioni di XJ1500 + 0154 e il processo, spiegano i ricercatori, è destinato a protrarsi per molti altri anni. Attraverso l'analisi di fenomeni come questo gli astronomi sperano di riuscire a comprendere più a fondo l'evoluzione e l'origine dei buchi neri supermassicci, la cui massa può essere miliardi di volte quella del Sole. Maggiori informazioni sulla rivista Nature Astronomy.
[Illustrazione di NASA]