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Quattro miti da sfatare a proposito del Titanic

La sua storia è una delle più famose del ‘900 ma, certamente, la ricchissima fioritura di film attorno al tragico affondamento del Titanic ha alimentato numerose leggende, alcune delle quali non esattamente corrispondenti alla realtà. Ecco i quattro miti da sfatare a proposito del gigante dei mari.
A cura di Nadia Vitali
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titanic affondamento

La tragica vicenda del Titanic ha alimentato negli anni prima indagini ufficiali volte a stabilire le responsabilità, poi studi accurati per approfondire le numerose questioni legate al più celebre dei transatlantici, infine ricerche per individuare i luoghi del relitto nel tentativo di recuperarne, attraverso gli oggetti scampati all'attacco dei mari, frammenti di quei drammatici attimi. Anche la filmografia in proposito è stata ricchissima, contribuendo a tessere le trame di un racconto che, col trascorrere degli anni, è diventato sempre più romanzesco, ricco di dettagli «cinematografici» che nel tempo hanno assunto coloriture di volta in volta maggiormente realistiche a cui si sono anche affiancate fantasiose e bizzarre ipotesi di complotto, tra le quali certamente un posto privilegiato spetta alla teoria secondo la quale il transatlantico non sarebbe mai affondato e mai sarebbe entrato in collisione con un iceberg, continuando a navigare indisturbato per venticinque anni sotto il falso nome della sua nave gemella, l'Olympic.

Il mito dell'inaffondabile – Probabilmente la più famosa tra le leggende fiorite attorno al Titanic è quella relativa al suo soprannome, l'"inaffondabile": è vero che, effettivamente, il mondo nutriva illimitata fiducia nei confronti di un transatlantico che si pensava essere stato costruito secondo le più avanzate innovazioni tecnologiche del tempo ma è ugualmente importante sottolineare come quell'attributo sia stato il frutto di una suggestione cinematografica, solo successivamente assurto a realtà storica. Insomma, mai la White Star Line, nelle vesti dei suoi amministratori e costruttori, investì dell'aggettivo "inaffondabile" la nave destinata al più tragico dei naufragi.

L'orchestra che suonava e la morte del Capitano – Si narra che l'ultimo ordine, o uno degli ultimi, impartito dal Capitano Edward Smith sia stato rivolto all'indirizzo dei musici che, fino al momento dell'inabissamento, avrebbero suonato Nearer, My God, to Thee: A prescindere dalle oggettive difficoltà di utilizzare gli strumenti su una nave sempre più inclinata, in realtà le testimonianze dei superstiti in proposito furono estremamente discordanti, poiché alcuni passeggeri riferirono che nell'aria si diffondevano le note di balli popolari ed altri ancora del ragtime. Effettivamente, nessuno dei membri dell'orchestra si salvò ma, senza dubbio, l'impossibilità di ricostruire con esattezza tanti significativi particolari di quegli istanti convulsi ha giocato un ruolo fondamentale nell'optare per questa sorta di «licenza poetica» utilizzata prima in un film del 1985 (Titanic, Latitudine 41 Nord) e successivamente ripresa da James Cameron nel suo Titanic del 1997. Quell'immagine "stoica" dell'epoca del gentleman era troppo suggestiva perché se ne indagasse la veridicità: così come, allo stesso modo, a proposito della morte del Capitano, di cui non si sa praticamente nulla, si preferisce ricordarla associata a gesti di infinito eroismo ed estrema generosità a costo della propria stessa vita. In verità, le terribili negligenze compiute dallo stesso giocarono un ruolo fondamentale nell'incidente del transatlantico (rimpasti di equipaggio all'ultimo momento, marconigrammi non letti) e, nelle fasi successive all'impatto il Capitano Smith non fu in grado di coordinare l'emergenza correttamente: basti pensare al fatto che inizialmente le scialuppe vennero calate in mare con pochissimi passeggeri, la prima con 28 persone la seconda con 12 a fronte dei 65 posti disponibili. Ma tutto questo avrebbe infranto il mito del Capitano Smith che, in verità, stando ai racconti di molti, ad un certo punto sarebbe semplicemente «scomparso nel nulla»: probabilmente troppo tardi comprese come le zattere sarebbero state insufficienti e come le sue leggerezze erano state fatali. E preferì ritirarsi.

L'armatore codardo – Se la morte del Capitano ha in un certo qual modo contribuito a farne dimenticare le colpe, per il superstite Joseph Bruce Ismay la clemenza non fu la medesima: le responsabilità dell'amministratore delegato della compagnia di navigazione apparvero immediatamente in tutta la loro gravità, creando così il mito del ricco vigliacco che non aveva adeguatamente badato alla sicurezza dei propri passeggeri. Partendo da ciò, nacquero leggende sul suo ignobile e villano comportamento a bordo, quando avrebbe cercato in ogni modo di darsi alla fuga sulla prima scialuppa, ignorando l'ordine di dare la precedenza  a donne e bambini: nella realtà le cose andarono diversamente, dal momento che Ismay si calò sull'ultima delle imbarcazioni di salvataggio dopo aver aiutato a coordinare i soccorsi. La vergogna di essere scampato al naufragio lo accompagnò per il resto dei suoi giorni. L'immagine del vile armatore e dell'eroico capitano, l'uno sopravvissuto l'altro perito eroicamente è senza dubbio più emotivamente suggestiva: ma è interessante sapere che è stata alimentata anch'essa soprattutto grazie ad un film tedesco del 1943 commissionato dal ministro per la propaganda del Reich Joseph Goebbels in cui il meschino (ed ebreo) uomo d'affari con il delirio di onnipotenza impone al Capitano di andare imprudentemente a tutta velocità, pur essendo consapevole della presenza degli iceberg. Un ritratto da villano che molto è piaciuto alla cinematografia successiva perché si sa, con il Titanic, molto spesso si è preferito ritoccare un po' la realtà per renderla ancora più simile alle proprie fantasie, ai propri miti, ai sogni di eroismo e di età dell'oro sparite per sempre. E del resto, «il mito dell'inaffondabile» si prestava immensamente allo scopo.

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