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Quanto cibo sprechiamo?

Oggi ricorre la Giornata contro lo spreco alimentare promossa dal Ministero dell’Ambiente: perché, a giudicare dai numeri, c’è ancora un grande bisogno di sensibilizzare sul tema.
A cura di Nadia Vitali
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Per ogni persona nel mondo che soffre la fame ce ne sono due che mangiano troppo. Si aggiunga a ciò il fatto che nei Paesi occidentali sia ancora immensa la quantità di cibo che finisce nella pattumiera e si capisce come quello dello spreco sia un problema da non sottovalutare: non soltanto per ragioni di natura etica (ed umana) ma anche per le conseguenze che questa pratica di difficile estirpazione ha sull'ambiente.

Da qualche anno il Ministero dell’Ambiente promuove in occasione del 5 febbraio la Giornata nazionale contro lo spreco alimentare: perché, purtroppo, c’è ancora molto bisogno di informare e sensibilizzare sull'argomento. A rilanciare l’allarme è il WWF in vista del vertice mondiale di Parigi #COP21, che sarà un momento decisivo (o almeno, questo è l’auspicio) per tirare le somme degli impegni mondiali nell'ambito della riduzione della CO2.

I numeri

Si estende per 1.4 miliardi di ettari la superficie che potremmo occupare con tutto il cibo prodotto e sprecato al mondo: in pratica il 30% delle terre agricole coltivate di tutto il globo. Tutto questo si traduce in costi altissimi che vengono valutati sui 750 miliardi di dollari all'anno (che, per intenderci, è equivalente al PIL della Svizzera) e soltanto per quanto riguarda lo spreco alimentare dei prodotti agricoli: dalla stima, infatti, restano fuori i prodotti del pescato, anch'essi oggetto di uno spreco che risulta ancor più doloroso se si considera quanto si stanno impoverendo i nostri mari.

L’impronta di carbonio dello spreco

Senza contare che tutto ciò ha un impatto sulla biodiversità che è anche difficile quantificare: basterebbe già iniziare a rendersi conto del fatto che l’espansione agricola e le coltivazioni estensive hanno degli effetti tali sugli habitat e sugli ecosistemi, frammentandoli e distruggendoli, per comprendere come sia un’assurdità che tutto questo venga fatto per produrre del cibo che poi finisce in pattumiera senza essere stato consumato. Il Dipartimento di gestione ambientale e delle risorse naturali della FAO ha provato a fare una stima del danno nel 2013: i dati sono stati resi noti nel rapporto Food wastage footprint. Impacts on natural resources ed evidenziano come lo spreco alimentare ci costi 3.3 miliardi di tonnellate di CO2 in più immessa nell’atmosfera. Anidride carbonica che va ad accrescere il carico di gas serra che stanno gradualmente riscaldando il nostro Pianeta. Se lo spreco alimentare fosse uno Stato, per quantità di CO2 prodotta sarebbe al terzo posto dopo Cina e Stati Uniti.

Perdite e acqua

Le responsabilità di questo disastro quotidiano sono divise tra i consumatori, che ogni anno spendono 316 euro in cibo che per disattenzione o negligenza sarà buttato intatto, e il sistema produttivo che molto spesso perde risorse e cibo lungo la stessa filiera. In alcuni casi, ossia quando le condizioni delle coltivazioni non sono ottimali o in presenza di limiti infrastrutturali nelle regioni di provenienza dei prodotti, si arriva a sciupare fino al 50% degli alimenti, ossia a gettarli prima ancora che questi giungano nel frigorifero o nella dispensa.

Senza dimenticare che tutto questo comporta uno spreco aggiuntivo che si aggira intorno ai 250 chilometri cubi di acqua (utilizzata, ad esempio, per l’irrigazione) che è praticamente una quantità pari a tre volte il lago di Ginevra.

Un circolo vizioso

L’aspetto più inquietante è quello del circolo vizioso che viene sostenuto da tutto ciò; molti studi degli ultimi anni hanno evidenziato come il cambiamento climatico in atto potrebbe ridurre la produttività agricola, diminuendo così proprio la disponibilità alimentare. La maggiore incidenza di fenomeni meteorologici estremi, dalla siccità alle inondazioni, sembra aver già iniziato a flagellare i raccolti: in futuro forse ci accorgeremo di aver dilapidato, come il peggiore degli scialacquatori, la nostra ricchezza. Il problema è che a farne le spese saranno soprattutto le popolazioni più povere, in particolare quelle strettamente dipendenti da allevamento e pesca, residenti nelle fasce del globo in cui gli effetti del riscaldamento saranno più evidenti. Ma siamo un sistema unico, non lo dimentichiamo.

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