Prima 79%, poi 76%: qual è davvero l’efficacia del vaccino Covid di Astrazeneca
Qual è la vera efficacia del vaccino anti-Covid di Astrazeneca? E qual è davvero la protezione dalla forme sintomatiche di Covid-19? Ad alimentare l’incertezza che ruota attorno al siero sviluppato dal Jenner Institute di Oxford e prodotto dall’azienda farmaceutica anglo-svedese è un aggiornamento del dato di efficacia comunicato dalla stessa Astrazeneca, che ha rivisto al ribasso la protezione conferita da due dosi di vaccino somministrate a distanza di quattro settimane.
Rivisto al ribasso il dato di efficacia
L’update è riferito all’analisi ad interim dei dati dello studio clinico di fase 3 condotto negli Stati Uniti e sarà la base per la presentazione della richiesta di autorizzazione all’uso di emergenza alla Food and Drug Administration (FDA). Dal 79% annunciato lo scorso 22 marzo, l’efficacia nei confronti della protezione dalle forme sintomatiche di Covid-19 è scesa al 76% dopo la nuova revisione dei dati.
“L’analisi preliminare ha incluso 190 casi sintomatici di Covid-19 in 32.449 partecipanti allo studio, altri 49 rispetto all’analisi ad interim annunciata in precedenza – ha spiegato Astrazeneca – . Ci sono altri 14 casi aggiuntivi possibili o probabili da giudicare, quindi il numero totale di casi e la stima puntuale dell’efficacia possono variare”.
Una risposta arrivata dopo i dubbi espressi dal Comitato indipendente per il monitoraggio della sicurezza dei dati (DSMB) che aveva riportato l’attenzione sul fatto che nella prima analisi fossero riportate “informazioni obsolete” circa i dati di efficacia, e anche l’esortazione arrivata dal NIAID, l’Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive guidato da Anthony Fauci, che ha sollecitato Astrazeneca a fornire “il più rapidamente possibile dati più accurati e aggiornati”.
Cambi di rotta e comunicazioni discordanti
La replica di Astrazeneca, che ha sottolineato come la rivalutazione indichi che i dati sono “coerenti” con l’alto profilo di efficacia riportato in precedenza, confermando inoltre la prevenzione del 100% dalle forme di Covid-19 grave e dall’ospedalizzazione, contribuisce tuttavia ad alimentare un clima di incertezza, sostenuto da comunicazioni discordanti e in parte contraddittorie giunte in questi mesi.
Parte delle perplessità è riferita proprio ai test clinici con cui il vaccino è stato autorizzato dall’Agenzia europea del farmaco (EMA), una sperimentazione più tortuosa rispetto a quella dei sieri di Pfizer-BionNTech, Moderna e Johnson & Johnson, inclusa l’ammissione di un errore nel dosaggio (la prima mezza dose seguita da una dose intera) che, inaspettatamente avrebbe permesso idi raggiungere una maggiore efficacia.
Ne parlavamo anche qui, ripercorrendo le fasi che hanno portato alla decisione di ritardare il richiamo a 12 settimane dalle 4 inizialmente previste e alle indicazioni di estendere l’utilizzo prima agli over 55 e poi agli over 65. Cambi di rotta cui si è aggiunto lo stop temporaneo delle vaccinazioni in diversi Paesi europei, Italia inclusa, per il sospetto che ci fosse un legame tra il vaccino e alcuni casi di trombosi. Il PRAC, il Comitato della sicurezza dell’EMA, ha però indicato nessun aumento del rischio complessivo.
Temi attorno ai quali si è approfondita la valutazione delle informazioni disponibili e, riguardo al regime di dosaggio e alla protezione nei più anziani, dei dati di due nuove analisi, la prima inglese e la seconda condotta sulle inoculazioni in Scozia, che hanno portato all’allungamento dei tempi tra la prima e la seconda dose e all’ampliamento delle fasce di età cui è indicato.
La vera efficacia di Astrazeneca
I dati della cosiddetta real world evidence, ovvero l’evidenza ottenuta dall’esperienza sul campo, indicano che una singola dose di vaccino può indurre una protezione del 76% per tre mesi, e che questa può raggiungere l’82% con la somministrazione della seconda dose dopo 12 settimane. Un’ulteriore analisi, pubblicata su preprint di The Lancet, ha anche mostrato il potenziale del vaccino nel ridurre la trasmissione asintomatica, indicando una riduzione del 67% dei tamponi positivi dopo la prima dose, dunque che il vaccino può rallentare di quasi due terzi la trasmissione virale.
A questi dati si aggiungono i risultati del Public Health England, l’Agenzia governativa del Dipartimento di Sanità del Regno Unito, che si basano sulle persone di età superiore agli 80 anni, le prime ad essere immunizzate in Gran Bretagna, dove fin dal principio si è scelto di allungare i tempi di richiamo per aumentare al massimo il numero di persone protette da almeno una singola iniezione.
Questi hanno indicato che una dose di Astrazeneca è altamente protettiva, riducendo di oltre l’80% il rischio di malattia sintomatica e di cure ospedaliere nei più anziani. Nella popolazione vaccinata in generale, la somministrazione della prima dose ha portato a una riduzione dei ricoveri fino al 94%.