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Covid 19

Possibili danni ai polmoni permanenti per il 30% dei pazienti guariti dal coronavirus

La Società Italiana di Pneumologia (SIP) lancia l’allarme sui possibili danni permanenti ai polmoni per i pazienti contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2. Analogamente alla SARS, infatti, i medici stanno riscontrando fibrosi polmonare in numerosi pazienti con COVID-19, una condizione che può determinare anche problemi respiratori irreversibili.
A cura di Andrea Centini
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Guarire dalla COVID-19, l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2, per una parte dei pazienti non significherà tornare alla vita di prima. Il 30 percento di chi supera la malattia infettiva, infatti, si stima dovrà convivere con lesioni polmonari permanenti, in grado di compromettere in modo più o meno significativo la capacità respiratoria. Uno strascico di questo genere era stato già osservato nei pazienti guariti dalla SARS (Severe acute respiratory syndrome, Sindrome respiratoria acuta grave), e a causa della notevole somiglianza tra le due condizioni, oltre alle prime evidenze nei pazienti che hanno sconfitto la COVID-19, tutto lascia presupporre che ci sarà da affrontare anche questo problema sanitario, in futuro.

A prevederlo sono gli esperti della Società Italiana di Pneumologia (SIP), riuniti in un convegno via streaming assieme ai colleghi di StemNet – la Federazione delle Associazioni di Ricerca sulle Cellule Staminali – e del Gruppo Italiano Staminali Mesenchimali (GISM). Durante il meeting gli scienziati hanno messo a confronto i dati dell'epidemia di SARS – che tra il 2002 e il 2003 uccise poco meno di 800 persone – e quelli iniziali della pandemia di COVID-19, trovando dei parallelismi significativi tra gli effetti delle due patologie infettive. Del resto i coronavirus SARS-CoV (responsabile della SARS) e SARS-CoV-2 (responsabile della COVID-19) condividono ben l'80 percento del patrimonio genetico, come dimostrato da scienziati dell'Università di Fudan (Shanghai), dell'Università di Sydney (Australia) e dell'Istituto di Virologia di Wuhan, pur determinando malattie con un tasso di letalità sensibilmente diverso.

In base a questo confronto, è emerso che i pazienti guariti dalla COVID-19, e in particolar modo quelli che hanno superato le complicanze più dure, finendo intubati nei reparti di terapia intensiva, potrebbero manifestare problemi respiratori per 6 mesi o un anno. Una parte di essi, tuttavia, potrebbe non recuperare completamente la funzione respiratoria. Questo perché durante l'aggressione del patogeno si determina la formazione di lesioni polmonari (fibrosi) col tessuto che si irrigidisce e cicatrizza, perdendo la sua naturale elasticità e capacità di favorire gli scambi gassosi. A sottolineare i rischi a lungo termine della COVID-19, ovviamente non ancora ben compresi visto il tempo relativamente breve dalla comparsa della pandemia, è il professor Luca Richeldi, presidente della Società Italiana di Pneumologia (SIP) e direttore presso il Dipartimento di Pneumologia del Policlinico "Gemelli" di Roma.

“In molti pazienti Covid-19 che sono stati ricoverati o intubati – afferma Richeldi – osserviamo dopo la dimissione difficoltà respiratorie che potrebbero protrarsi per molti mesi dopo la risoluzione dell'infezione, e i dati raccolti in passato sui pazienti con SARS mostrano che i sopravvissuti alla SARS a sei mesi di distanza avevano ancora anomalie polmonari – ben visibili alle radiografie toraciche – e alterazioni restrittive della funzionalità respiratoria, come una minor capacità respiratoria, un minor volume polmonare, una scarsa forza dei muscoli respiratori e soprattutto una minor resistenza allo sforzo, con una diminuzione netta della distanza percorsa in sei minuti di cammino”. “Ma, soprattutto – ha aggiunto lo specialista – il 30% dei pazienti guariti mostrava segni diffusi di fibrosi polmonare, cioè grosse cicatrici sul polmone con una compromissione respiratoria irreversibile: in pratica potevano sorgere problemi respiratori anche dopo una semplice passeggiata”. Tali complicanze sono state osservate anche in parecchi pazienti giovani, come specificato dal professor Angelo Corsico, a capo della Pneumologia presso il Policlinico San Matteo e docente di Pneumologia all'Università di Pavia.

Poiché la fibrosi polmonare sta venendo rilevata in un numero sempre maggiore di pazienti guariti dalla COVID-19, gli esperti ipotizzano che in futuro possa rappresentare un nuovo problema sanitario, con moltissimi pazienti bisognosi di trattamenti specifici, a causa dell'insufficienza respiratoria cronica che potrebbe manifestarsi. Alla luce di ciò raccomandano la creazione di ambulatori ad hoc nei quali seguire i superstiti alla COVID-19 che potrebbero manifestare questo strascico.

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