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Covid 19

Perché le mutazioni del coronavirus sono più frequenti dove ci si vaccina meno

Mettendo a confronto i tassi di vaccinazione di venti Paesi con migliaia di sequenze genomiche della variante Delta, un team di ricerca dell’Università del Maryland ha determinato che il tasso di mutazione del coronavirus SARS-CoV-2 crolla dove vengono somministrate più dosi, abbattendo il rischio di emersione di nuove e pericolose varianti. Ecco perché è importante vaccinarci tutti e il prima possibile.
A cura di Andrea Centini
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Come sottolineato alcune settimane addietro alla CNN dal professor William Schaffner, docente presso l'autorevole Divisione di Malattie Infettive dell'Università Vanderbilt, chi non è vaccinato contro il coronavirus SARS-CoV-2 è una vera e propria “fabbrica di varianti”. Come tutti i patogeni, infatti, il coronavirus muta naturalmente replicandosi nell'ospite e diffondendosi nelle comunità; poiché i non immunizzati sono molto più esposti al rischio di contagio – i recenti dati dell'Istituto Superiore di Sanità indicano che il vaccino protegge dall'infezione all'88 percento – e tendenzialmente sviluppano una carica virale superiore, è indubbio che possano catalizzare la circolazione del virus e, di conseguenza, lo sviluppo di nuove mutazioni e conseguenti nuove varianti. Sotto il processo evolutivo della selezione naturale, del resto, le mutazioni emerse casualmente e più adatte si impongono diventando dominanti, dando vita a nuovi lignaggi che l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) suddivide in due categorie principali: la prima è quella delle varianti di preoccupazione (VOC), come l'Alfa, la Beta, la Gamma e la Delta, caratterizzate da una maggiore trasmissibilità, virulenza e/o capacità di resistere agli anticorpi neutralizzanti; la seconda è quella delle varianti di interesse (VOI), che sono responsabili di nuovi focolai e risultano sotto stretto monitoraggio degli esperti.

Ora un nuovo studio conferma quanto sottolineato a più riprese dagli scienziati; ovvero che dove ci si vaccina di meno le mutazioni del coronavirus SARS-CoV-2 sono più frequenti e dunque si favorisce l'insorgenza di nuovi ceppi. A condurre la nuova indagine sono stati due scienziati dell'Institute of Marine and Environmental Technology dell'Università del Marine, i professori Ting-Yu Yeh e Gregory P. Contreras. I due ricercatori, membri dell'Auxergen Inc. – Columbus Center dell'ateneo statunitense, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver messo a confronto i tassi di vaccinazione in venti Paesi (Italia compresa) con la frequenza delle mutazioni delle varianti Delta, sfruttando i dati delle sequenze genomiche del coronavirus SARS-CoV-2 caricate nel database internazionale GISAID. Nello specifico, prendendo in considerazione il periodo compreso tra il 20 giugno e il 3 luglio 2021, sono state raccolte e analizzate 121 sequenze complete della variante Delta provenienti dall'Australia; 788 dalla Francia; 955 dalla Germania; 97 dall'Indonesia; 171 dall'India; 617 dall'Irlanda; 333 da Israele; 642 dall'Italia; 105 dal Giappone; 368 dal Messico; 456 dall'Olanda; 142 dalla Norvegia; 782 dal Portogallo; 131 da Singapore; 689 dalla Spagna; 131 dalla Svizzera; 786 dalla Svezia; 428 dalla Turchia; 537 dagli Stati Uniti; e 3.534 dal Regno Unito. Gli scienziati hanno inoltre scaricato dal database altre 27.344 sequenze dal Regno Unito, 4.451 dall'India e 305 dall'Australia risalenti al periodo compreso tra il 13 febbraio e il 3 luglio 2021.

La frequenza di mutazione del coronavirus crolla all'aumentare del tasso di vaccinazione
La frequenza di mutazione del coronavirus crolla all'aumentare del tasso di vaccinazione

Dopo aver allineato tutti i genomi e averli messi a confronto col tasso di vaccinazione di ciascun Paese, è risultato evidente che la frequenza di mutazione del coronavirus SARS-CoV-2 era logaritmicamente ridotta all'aumentare delle dosi di vaccino somministrate, come mostra il grafico soprastante. “Questa è la prima prova che le vaccinazioni hanno successo nella soppressione delle mutazioni virali”, hanno scritto Yeh e Contreras nello studio. In parole semplici, dove si vaccina di più il virus muta meno e dunque c'è un rischio minore che emergano nuove e pericolose varianti. I ricercatori hanno determinato che il tasso di mutazione può risultare più basso anche in presenza di lockdown durissimi, come quello introdotto tempo addietro in Australia, ma naturalmente vivere chiusi in casa e bloccare economie e società, con conseguenze catastrofiche anche sulla psiche delle persone, non è certo il metodo più efficace per convivere con un patogeno pandemico dopo oltre un anno e mezzo di dura battaglia, soprattutto quando vi è la disponibilità di vaccini sicuri ed efficaci.

Gli scienziati hanno inoltre determinato che la pressione selettiva dovuta alle “porte chiuse” del vaccino può rendere il virus più trasmissibile mentre continua a circolare nella comunità, pertanto raccomandano di vaccinare nel più breve tempo possibile tutta la popolazione, per “sopprimere la generazione di mutazioni virulente”. Ecco perché è importante vaccinarci tutti. Nel frattempo, spiegano Yeh e Contreras, dobbiamo continuare a rispettare il distanziamento sociale, indossare le mascherine e curare l'igiene delle mani, in particolar modo nelle condizioni a rischio di assembramenti. I due ricercatori hanno messo a punto anche un peculiare algoritmo evolutivo chiamato “test Tajima D” grazie al quale è possibile predire con significativa accuratezza l'emergere di nuovi focolai. I dettagli della ricerca “Full vaccination is imperative to suppress SARS-CoV-2 delta variant mutation frequency” sono stati caricati sul database MedrXiv, in attesa della pubblicazione su una rivista scientifica.

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