Perché la terza dose di vaccino Covid è stata anticipata a 5 mesi
Lunedì 22 novembre il ministro della Salute Roberto Speranza ha comunicato la possibilità di anticipare la terza dose di vaccino anti Covid (il richiamo o booster) a 5 mesi anziché 6 dal completamento del ciclo vaccinale di base. La decisione, giunta a seguito dell'ultimo parere dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), è stata poi ufficializzata con una circolare del ministero – la potete leggere qui – inviata a enti e Regioni e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. “Nell’ambito della campagna di vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19, l’intervallo minimo previsto per la somministrazione della dose “booster” (di richiamo) con vaccino a m-RNA, alle categorie per le quali è già raccomandata (inclusi tutti i soggetti vaccinati con una unica dose di vaccino Janssen) è aggiornato a cinque mesi (150 giorni) dal completamento del ciclo primario di vaccinazione, indipendentemente dal vaccino precedentemente utilizzato”, si legge nel testo della circolare. Ricordiamo che in Italia anche a chi è stato inoculato un vaccino adenovirale (il Johnson & Johnson o l'AstraZeneca) riceverà una dose booster con un vaccino a RNA messaggero (mRNA), ovvero uno tra il Comirnaty di Pfizer-BioNTech e lo Spikevax di Moderna, per i quali si confermano i dosaggi di 30 microgrammi in 0,3 millilitri per il primo e 50 microgrammi in 0,25 millilitri per il secondo. Ma perché il ministero della Salute ha deciso di anticipare l'intervallo minimo perl a terza dose da 6 a 5 mesi?
La decisione è stata presa per diverse ragioni. Innanzitutto, sebbene l'Italia sia uno dei Paesi più virtuosi per quanto concerne la campagna vaccinale, con ben il 73,6 percento della popolazione complessiva vaccinato (e oltre l'85 percento di quella vaccinabile), le infezioni da coronavirus SARS-CoV-2, i decessi, i ricoveri in ospedale e le occupazioni in terapia intensiva sono in costante crescita anche da noi. La quarta ondata guidata dalla variante Delta è sicuramente meno dura di quella che stanno vivendo altri Paesi in Europa e altrove, proprio grazie alle vaccinazioni, tuttavia i dati sono in progressivo peggioramento ed è necessario intervenire per contenere sia la circolazione del patogeno pandemico che le ospedalizzazioni. Poiché l'efficacia dei vaccini cala col passare del tempo e poiché dai dati epidemiologici in Israele – pioniere nella somministrazione dei richiami – è stato dimostrato che la terza dose abbatte di 9/10 volte il rischio di malattia grave (rispetto al ciclo vaccinale di base a 6 mesi dalla seconda dose) ma anche il contagio, anticipare di un mese il richiamo può aiutarci a rinvigorire la risposta immunitaria e proteggerci meglio, oltre ad accelerare la campagna vaccinale. Non a caso il ministro Speranza nel suo “cinguettio” su Twitter ha scritto che la dose di richiamo “è cruciale per proteggere meglio noi e chi ci sta accanto”, aggiungendo di vaccinarci tutti “per essere più forti”.
Nell'ultimo aggiornamento del bollettino sui dati epidemiologici dell'Epidemia di COVID-19 in Italia, l'Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha specificato che “dopo sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale, scende dal 79% al 55% l’efficacia nel prevenire qualsiasi diagnosi sintomatica o asintomatica di COVID-19 rispetto ai non vaccinati”. Aggiunge inoltre che “rimane elevata l’efficacia vaccinale nel prevenire casi di malattia severa, in quanto l’efficacia per i vaccinati con ciclo completo da meno di sei mesi è pari al 95% rispetto ai non vaccinati, mentre risulta pari all’82% per i vaccinati con ciclo completo da oltre sei mesi rispetto ai non vaccinati”. Questi dati sottolineano la perdita di efficacia del vaccino legata al semplice scorrere del tempo, che fortunatamente risulta più incisiva solo per quel che concerne la protezione dal contagio, mentre contro la malattia grave lo "scudo" resta robusto anche oltre i sei mesi. Per quanto concerne i singoli vaccini, il calo di efficacia contro l'infezione sintomatica a 6 mesi dalla seconda dose è stata calcolato tra il 44% e il 47% per AstraZeneca, tra il 58% e il 72% per Moderna e tra il 41% e il 69% per Pfizer. In un quadro epidemiologico delicato come quello attuale, con i bambini (non ancora vaccinati) sempre più colpiti a causa della variante Delta e i casi di positività in costante peggioramento, è fondamentale contrastare anche la circolazione virale, per questo un “rinforzo” anticipato della risposta immunitaria rispetto alla tabella di marcia originale è considerato un prezioso aiuto per proteggere tutta la popolazione. Da qui la decisione di ridurre l'intervallo minimo per il booster da 6 a 5 mesi.