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Covid 19

Perché in Nuova Zelanda la pandemia ha risparmiato migliaia di vite

Mettendo a confronto i tassi di mortalità per tutte le cause tra il 2016 e il 2020 in 29 Paesi dell’OCSE, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell’Università di Oxford ha determinato che la pandemia di COVID-19 lo scorso anno ha provocato 970mila morti in eccesso. In Nuova Zelanda, tuttavia, si sono registrati 2.500 morti in meno del previsto.
A cura di Andrea Centini
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Alla data odierna, giovedì 20 maggio, sulla base della mappa interattiva messa a punto dagli scienziati dell'Università Johns Hopkins la pandemia di COVID-19 è costata la vita a oltre 3,4 milioni di persone, 124mila delle quali decedute nel nostro Paese. Si tratta del numero “ufficiale” di vittime strettamente associato all'infezione da coronavirus SARS-CoV-2, ma gli esperti ritengono sia una sottostima del numero reale. A questi decessi vanno aggiunti anche tutti quelli causati indirettamente dalla pandemia, legati ad esempio allo stravolgimento dell'assistenza sanitaria (in molti hanno rinviato esami diagnostici fondamentali) o alla paura di contrarre l'infezione in ospedale che ha ritardato l'assistenza salvavita. Basti pensare che è triplicato il numero di morti per infarto, principalmente perché si è aspettato troppo per chiedere aiuto. La pandemia di COVID-19 ha provocato dunque una vera ecatombe e continuerà a mietere vittime anche nel prossimo futuro, fino a quando la campagna vaccinale globale non garantirà una svolta. Determinare quante vite si sarebbero effettivamente potute risparmiare senza la diffusione del patogeno pandemico non è un calcolo semplice, ma lo ha elaborato un team di ricerca internazionale analizzando i dati di 29 Paesi ad alto reddito, facenti parte dell'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

L'indagine è stata guidata da scienziati britannici del Nuffield Department of Population Health dell'Università di Oxford, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Istituto Max Planck per la ricerca demografica (Germania), dell'Università Nazionale della Ricerca di Mosca (Russia), della Scuola di Salute Pubblica “TH Chan” dell'Università di Harvard, del Dana-Farber Cancer Institute di Boston, del Dipartimento di Fisiopatologia e Trapianti dell'Università degli Studi di Milano e di altri centri di ricerca. Per determinare l'impatto della pandemia, i ricercatori guidati dall'epidemiologo Nazrul Islam hanno messo a confronto i tassi di mortalità (per tutte le cause) tra il 2016 e il 2020 con la fluttuazione osservata da quando il patogeno ha iniziato a diffondersi, tenendo presenti fattori come età e sesso. È stato stimato che nei 29 Paesi coinvolti a causa del coronavirus SARS-CoV-2 si sono verificati 970mila morti in più di quelli attesi dai modelli statistici.

“Tutti i Paesi hanno registrato un numero eccessivo di morti nel 2020, ad eccezione di Nuova Zelanda, Norvegia e Danimarca”, si legge nell'abstract dello studio. Se nelle due nazioni del Nord Europa il tasso dei decessi è rimasto il linea con quello degli anni precedenti, per la Nuova Zelanda è stato addirittura registrato un calo di 2.500 unità rispetto al dato atteso. Com'è possibile? Secondo gli esperti ciò è dovuto alla rapida chiusura dello Stato insulare all'inizio della pandemia, che in associazione alle misure di salute pubblica introdotte per arginare il rischio di contagio avrebbe ridotto l'incidenza di altre patologie potenzialmente mortali (come l'influenza e la polmonite). "La Nuova Zelanda si è distinta come l'unico Paese con una mortalità inferiore al previsto in tutte le fasce di età, sia negli uomini che nelle donne, senza differenze di sesso nei tassi di mortalità in eccesso, che potrebbe essere potenzialmente attribuita alla strategia del Paese all'inizio pandemia", hanno scritto gli autori dell'indagine.

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Tornando ai morti in eccesso, il Paese che ha pagato il prezzo più alto in assoluto nel 2020 sono stati gli Stati Uniti, con 458.000 decessi, seguiti dall'Italia (89.100), da Inghilterra e Galles (85.400), Spagna (84.100) e Polonia (60.100). Nel complesso hanno perso la vita molti più uomini che donne. Per i primi, i tassi più alti di morti in eccesso ogni 100.000 abitanti si sono verificati in Lituania (285), seguita da Polonia (191), Spagna (179), Ungheria (174), e Italia (168). Per quanto concerne le donne, i tassi più alti sono stati registrati in Lituania (210), Spagna (180), Ungheria (169), Slovenia (158) e Belgio (151). Il reale costo in vite umane della pandemia di COVID-19 probabilmente lo conosceremo solo fra diversi anni, quando diventeranno chiari anche gli effetti delle cause indirette, come le già citate diagnosi ritardate (ad esempio per le patologie oncologiche), ma anche dei lockdown rigidissimi, che hanno comportato un'ondata di depressione, abuso di alcol e stili di vita generalmente insalubri. I dettagli della ricerca “Excess deaths associated with covid-19 pandemic in 2020: age and sex disaggregated time series analysis in 29 high income countries” sono stati pubblicati sul The British Medical Journal.

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