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Covid 19

Perché i vaccinati contagiati in Israele sono la prova che i vaccini funzionano

La proporzione tra vaccinati contro il coronavirus e non vaccinati ricoverati in ospedale in Israele è stata sbandierata dai no-vax come dimostrazione dell’inefficacia del vaccino anti Covid, dato che attualmente i primi sono circa il 60 percento del totale. Tuttavia, seppur vera, questa percentuale nuda e cruda è totalmente fuorviante, come spiegato dal professore di biostatistica Jeffrey Morris. I dati israeliani mostrano infatti l’esatto contrario, ovvero che i vaccini funzionano egregiamente. Ecco perché.
A cura di Andrea Centini
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Nel momento in cui stiamo scrivendo, sulla base della mappa delle vaccinazioni di Our World in Data, nel mondo sono state somministrate 4,88 miliardi di dosi di vaccino anti Covid, col 24,1 percento della popolazione globale completamente immunizzata. Tra i Paesi che hanno portato avanti una campagna vaccinale particolarmente rapida e virtuosa figura Israele, con 12,6 milioni di dosi somministrate e il 60 percento della popolazione complessiva (9 milioni di abitanti) che ha completato il ciclo vaccinale. In Italia siamo in proporzione allo stesso livello, dato che con 74,8 milioni di dosi somministrate su una popolazione di 60 milioni abbiamo il 57,9 percento di persone totalmente protette. I dati sulle vaccinazioni per le nazioni più ricche, che si sono accaparrate larga parte dei farmaci, sono in linea generale rassicuranti, tuttavia alcune statistiche che giungono proprio da Israele hanno catalizzato una narrazione profondamente errata sull'efficacia dei vaccini. Come evidenziato dai dati del governo israeliano, consultabili da chiunque cliccando sul seguente link, risulta che circa il 60 percento dei ricoverati in ospedale per Covid al 15 agosto 2021 aveva ricevuto la doppia dose del Comirnaty, il vaccino di Pfizer-BioNTech. Questa percentuale nuda e cruda è stata presa dai no-vax e sbandierata sui social per dimostrare che i vaccini non proteggono. Le cose stanno davvero così? Assolutamente no. Basta ragionare su un po' di statistica per capire che i vaccini anti Covid risultano estremamente efficaci, anche contro la famigerata variante Delta che sta guidando la quarta ondata delle infezioni.

A spiegare che quella percentuale, seppur verissima, senza essere contestualizzata non ha alcun senso e porta solo a conclusioni errate e fuorvianti – come ad esempio la netta perdita di efficacia dei vaccini contro la COVID-19 grave – è il professor Jeffrey Morris, docente di biostatistica presso la prestigiosa Scuola di Medicina “Perelman” dell'Università della Pennsylvania. Insomma, qualcuno che di numeri ci capisce decisamente di più di chi fomenta odio sui social network. Lo scienziato ha sottolineato che quello del 60 percento dei ricoverati vaccinati è un semplice dato osservativo, influenzato da molteplici fattori che possono portare a banali errori di interpretazione se non lo si analizza con criterio scientifico. Tra i fattori chiave che contribuiscono a questa confusione, ha spiegato il professor Morris sul suo blog personale, vi sono gli alti tassi di vaccinazione in Israele; il fatto che vi sia una netta disparità nell'età dei vaccinati (il 90 percento degli anziani) e dei non vaccinati (l'85 percento al di sotto dei 50 anni); e che le persone con più di 50 anni hanno un rischio 20 volte superiore di finire in ospedale per un virus respiratorio rispetto ai minori di 50 anni, mentre chi ha più di 90 anni ha un rischio 1.600 volte maggiore rispetto agli adolescenti tra i 12 e i 15 anni.

Tenendo conto dei tassi di vaccinazione nella popolazione israeliana e della stratificazione per età, spiega il professor Morris, dai dati del Ministero della Salute l'efficacia del vaccino anti Covid di Pfizer-BioNTech contro la malattia grave risulta ancora essere compresa tra l'85 e il 95 percento. Insomma, è naturale che per un vaccino non efficace al 100 percento (non ne esiste nessuno così “bravo”) e in una popolazione largamente immunizzata, ci sia comunque una certa percentuale di persone – soprattutto anziane – che finisce in ospedale nonostante abbia concluso il ciclo vaccinale, e che la proporzione sia superiore ai non vaccinati proprio perché questi ultimi sono molti di meno dei vaccinati. Con un esempio numerico il concetto si comprende meglio. Immaginate una comunità in cui il 99 percento degli abitanti è vaccinata e soltanto l'1 percento non lo è. Se prendiamo come esempio un vaccino efficace al 90 contro la malattia grave, ci sarà un 9 percento di vaccinati comunque esposti al rischio di finire in ospedale in caso di infezione, contro l'1 percento dei non vaccinati che sono in netta minoranza. Ne consegue che la proporzione di ricoverati sarebbe significativamente maggiore tra i vaccinati, proprio perché i non vaccinati sono pochissimi. Si tratta di semplici proporzioni, facilmente comprensibili da chiunque mastichi un po' di matematica. Eppure il fatto che il “60 percento dei ricoverati israeliani ha il vaccino” è stato mal interpretato da moltissimi e divulgato come la Caporetto delle campagne vaccinali.

Il professor Morris è andato ancora più a fondo con i suoi calcoli. Considerando tutte le fasce di età e calcolando il tasso di ospedalizzazione tra vaccinati e non vaccinati in Israele, è emerso che ci sono 16,4 casi ogni 100mila abitanti tra i non vaccinati e 5,3 casi ogni 100mila abitanti tra i vaccinati. Ciò significa che chi non è stato immunizzato ha un rischio 3,1 volte superiore (il 300 percento) di finire in ospedale rispetto a un vaccinato, determinando un'efficacia complessiva del 67,5 percento. “L'interpretazione di questo numero è che i vaccini stanno prevenendo più di due terzi delle infezioni gravi che portano al ricovero in ospedale che si sarebbero verificate senza la vaccinazione”, ha dichiarato il professor Morris. Ma tale percentuale risulta sensibilmente inferiore rispetto al 95 percento di efficacia del vaccino come indicato in precedenza. Com'è possibile? L'efficacia del vaccino sta perdendo colpi?

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Come sottolineato, dal professor Morris, il 67,5 percento “è anche fuorviante a causa della confusione menzionata in precedenza per via di età, stato vaccinale e rischio di malattia, ovvero del fatto che le persone anziane hanno maggiori probabilità di essere vaccinate e sono intrinsecamente a più alto rischio di malattia grave”. Pertanto vanno fatte ulteriori valutazioni. Se infatti si dividono i tassi di vaccinazione per fasce di età, emerge chiaramente che il vaccino anti Covid ha un'efficacia nel prevenire la malattia grave del 91,8 percento nelle persone con meno di 50 anni e dell'85,2 percento in quelle con più di 50 anni.

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Il professor Morris ha inoltre calcolato che nella popolazione non vaccinata il rischio di COVID-19 grave tra chi ha più di 50 anni è 23,6 volte superiore rispetto a chi ha meno di questa età; mentre in quella vaccinata il rischio di per chi ha più di 50 anni è di ben 42,5 volte più alto. Non c'è da stupirsi, dato che le persone più anziane possono avere un sistema immunitario più indebolito e altre condizioni in grado di limitare l'efficacia della vaccinazione.

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Lo scienziato ha concluso la sua approfondita analisi sottolineando che i dati grezzi e le percentuali non contestualizzati, senza tenere conto delle stratificazioni per età e dei tassi di vaccinazione, possono portare a interpretazioni errate e confusionarie. Dai dati è comunque emerso un certo calo dell'efficacia del vaccino di Pfizer-BioNTech, col passare del tempo e in presenza della variante Delta, pur restando estremamene protettivo contro la malattia grave. Si tratta di un dato da non sottovalutare ed è proprio per questo che in Israele è stata avviata la campagna per la terza dose, che partirà a breve anche in altri Paesi. Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con la proporzione tra ricoverati vaccinati e non vaccinati, un semplice riflesso del fatto che i vaccinati sono molti di più dei non vaccinati e in larga parte anziani.

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