Perché è importante vaccinare anche i bambini sotto i 12 anni
Nella lotta contro il coronavirus, i vaccini si stanno dimostrando un’arma fondamentale per affrontare la crisi sanitaria, abbattendo i tassi di infezione, il rischio di malattia grave e morte. La protezione conferita dall’immunizzazione, pur considerando la più alta trasmissibilità della variante Delta, fa sì che i vaccinati siano in buona misura protetti dal contagio e, anche se contagiati, abbiano scarse probabilità di trasmettere il virus alle altre persone che, se vaccinate, saranno a loro volta meno suscettibili al virus. In altre parole, la vaccinazione protegge se stessi e le altre persone, riducendo la circolazione virale e soprattutto i rischi di un’infezione potenzialmente letale. Questo è vero non solo per gli adulti ma anche per i bambini, i cui rischi legati alla Covid non sono pari a zero.
Lo dimostrano i dati sulle percentuali di infezioni nei minori delle diverse autorità sanitarie nel mondo, compreso l’Istituto Superiore di Sanità che indica come in Italia, negli ultimi 30 giorni, i casi di Covid in età pediatrica abbiamo rappresentato il 25,5% delle diagnosi totali (20.831/81.709) e che in un anno e mezzo le morti tra 0 e 19 anni siano state pari a 30, di cui 15 sotto gli 11 anni di età.
“Con i vaccini, possiamo evitare che se ne aggiungano altre” ha recentemente spiegato l’immunologo Sergio Abrignani, direttore dell’Istituto Romeo e Enrica Invernizzi di Milano e membro del Cts per l’emergenza Covid. “I minori con fragilità – dice Abrignani al Corriere della Sera – sono per fortuna pochi (pensiamo ad esempio ai pazienti oncologici), ma non dimentichiamo che in Italia circa un bambino su dieci è obeso (9,4%) e l’obesità rappresenta uno dei fattori di rischio per le forme gravi di Covid. Non solo. In molte famiglie ci sono persone che, seppur vaccinate, non sono protette. Basti pensare ai tanti pazienti in chemioterapia o che assumono farmaci immunosoppressori. Vaccinare un figlio o un nipote significa ridurre drasticamente le probabilità che un padre o un nonno fragili finiscano in ospedale per Covid con altissimi rischi di morte”.
Ciò significa che in un mondo parzialmente vaccinato, le fasce di popolazione non vaccinate possono mettere a rischio l’immunità collettiva, mantenendo livelli di trasmissione tali da alimentare l’origine di nuove varianti e conservare in questa stessa popolazione tutte le probabilità di aggravamento della malattia. Pertanto, anche i bambini, che costituiscono una parte significativa della popolazione mondiale, svolgono un ruolo fondamentale nella lotta al coronavirus e, una volta che i sieri anti Covid saranno disponibili anche per i più giovani, la loro vaccinazione contribuirà all’immunità di popolazione.
Se la sperimentazione, attualmente in corso per i vaccini a mRna di Pfizer e Moderna – che si sono già dimostrati molto efficaci e sicuri negli adolescenti – confermerà gli stessi alti profili anche sotto i 12 anni, la vaccinazione dei più piccoli sarà dunque determinante nel contrastare la circolazione virale, oltre ad escludere il rischio che la malattia possa provocare, seppur raramente, gravi complicazioni come la sindrome infiammatoria multisistemica (MIS-C), che richiede cure intensive e può causare effetti indesiderati anche a distanza di tempo.
Secondo le stime dei Centers of Disease Control and Prevention (CDC) statunitensi, un milione di dosi nelle fasce d età più giovani andranno ad evitare 23.500 casi di Covid, circa 1.500 ricoveri e 211 ingressi di terapia intensiva, facendo pendere la bilancia nettamente a favore della vaccinazione nel confronto con il rischio di effetti collaterali, inclusi i rari casi di miocardite e pericardite (4 su 100mila vaccinati negli under 18) che si risolvono spontaneamente nel giro di pochi giorni senza rischio di complicanze.