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Covid 19

Perché dosi con un contenuto inferiore di vaccino Covid potrebbero salvare più vite umane

In base ai dati della mappa delle vaccinazioni di Our World in Data, ad oggi solo l’11,5% della popolazione mondiale è vaccinata contro il coronavirus SARS-CoV-2, ma nei Paesi a basso reddito è finito appena lo 0,2% delle dosi. Secondo un team di ricerca guidato da scienziati di Hong Kong, una strategia efficace per supplire alla cronica carenza di scorte e salvare vite umane potrebbe essere ridurre il contenuto di principio attivo in ogni singola dose di vaccino somministrata.
A cura di Andrea Centini
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A novembre dello scorso anno la casa biofarmaceutica anglo-svedese AstraZeneca annunciò che, a causa di un errore, in uno studio clinico emerse che l'efficacia del suo vaccino anti Covid risultava maggiore con mezza dose seguita da una dose standard rispetto a quella ottenuta con due dosi standard (90 percento contro il 62 percento). Ad oggi è l'unico studio ad aver dimostrato (sui pazienti) che la riduzione della concentrazione del principio attivo di un vaccino contro il coronavirus SARS-CoV-2 può migliorare la protezione contro la COVID-19 sintomatica. In un contesto in cui le dosi continuano a scarseggiare, con appena l'11,5 percento della popolazione mondiale completamente vaccinata (895 milioni di persone) e soltanto lo 0,2 percento di dosi inoculate nei Paesi a basso redditto, alcuni esperti hanno iniziato a chiedersi se ridurre le concentrazioni delle dosi possa essere una strategia efficace, sia per compensare la cronica carenza di vaccini che per migliorare le curve epidemiologiche. In altri termini, inserendo in ogni siringa un contenuto inferiore di vaccino per permettere a più persone di immunizzarsi può essere una strada percorribile per abbattere ricoveri e mortalità?

Secondo un team di ricerca internazionale composto da scienziati della Facoltà di medicina “Li Ka Shing” dell'Università di Hong Kong e del Dipartimento di Ecologia ed Evoluzione dell'Università di Chicago la risposta è affermativa. Naturalmente dovranno essere condotti approfonditi studi clinici per averne la certezza, tuttavia ci sono i risultati "sibillini" di alcune indagini condotte in laboratorio. Nello studio “BNT162b2 induces SARS-CoV-2-neutralising antibodies and T cells” condotto da scienziati della BioNTech, la società di biotecnologie tedesca che ha messo a punto il vaccino Comirnaty assieme a Pfizer, è stato dimostrato che dosi fino a un terzo (10 microgrammi) della dose standard producono anticorpi e risposte immunitarie cellulari simili a quelle che si ottengono con la dose piena (da 30 microgrammi). “Il titolo medio geometrico degli anticorpi neutralizzanti 21 giorni dopo la seconda dose di vaccino era 166 per il gruppo che ha ricevuto 10 microgrammi, quasi lo stesso del titolo medio geometrico di 161 per il gruppo che ha ricevuto 30 microgrammi”, hanno scritto gli autori della nuova indagine. 63 giorni dopo la seconda dose, i titoli erano rispettivamente di 181 e 133, hanno aggiunto gli scienziati guidati dal professor Benjamin J. Cowling. Un altro studio condotto col vaccino a mRNA di Moderna ha mostrato che una dose pari a un quarto (25 microgrammi) della dose standard (100 microgrammi) non riduce in modo marcato l'attività neutralizzante in test di laboratorio. Secondo il professor Cowling e colleghi, dunque, con i vaccini a mRNA altamente efficaci una riduzione nella concentrazione delle dosi potrebbe davvero rappresentare una strategia efficace nella lotta alla pandemia.

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Gli scienziati di Hong Kong e americani hanno simulato diversi scenari, nei quali è emerso che somministrare dosi dimezzate a un certo numero di persone potrebbe fornire un livello maggiore di immunità di popolazione rispetto a fornire dosi standard alla metà delle persone (Grafico A). Anche il secondo grafico evidenzia che dosi dimezzate possono offrire un vantaggio nell'immunità della popolazione, se si rispettano determinati parametri. A sostegno di questa potenziale strategia anche quanto fatto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2015 per rispondere alla diffusione della febbre gialla nella Repubblica Democratica del Congo e in Angola. Gli esperti conclusero che, a causa della scarsità delle dosi e della difficoltà di produrre i vaccini, frazionare le dosi standard fino a un quinto “avrebbe ridotto sostanzialmente i tassi di attacco di infezione della popolazione e salvato vite”. La stessa strategia è stata attuata in Brasile tra il 2017 e il 2018. Naturalmente, per dimostrare che possa funzionare anche contro la pandemia di COVID-19 andranno condotti diversi studi ad hoc, anche alla luce della diffusione delle varianti di preoccupazione. I dettagli della ricerca “Fractionation of COVID-19 vaccine doses could extend limited supplies and reduce mortality” è stato pubblicato sull'autorevole rivista scientifica Nature Medicine.

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