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Perché alcune persone nascono “immuni” alla Covid-19

Lo suggerisce un team di ricerca internazionale che sta valutando i fattori che potrebbero influenzare la suscettibilità alla malattia nonché quelli che potrebbero dar luogo a una resistenza innata.
A cura di Valeria Aiello
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La resistenza genetica può rappresentare una risorsa non sfruttata nella lotta al coronavirus. Lo afferma un team di esperti internazionali in un nuovo rapporto pubblicato su Nature Immunology, in cui gli autori suggeriscono di considerare i fattori che potrebbero influenzare la suscettibilità alla malattia grave, nonché i fattori che potrebbero dar luogo a una resistenza innata,  come obiettivi della ricerca futura. La prospettiva attinge dal patrimonio di conoscenze già disponibile per altre infezioni, tra cui HIV e norovirus, e potrebbe fornire un’opportunità per comprendere meglio la malattia causata dal coronavirus Sars-Cov-2 e sviluppare trattamenti e vaccini migliori.

Secondo gli autori dello studio, la variabilità clinica di Covid-19 potrebbe essere spiegata da fattori genetici. La prima di queste cause riguarda la suscettibilità innata al virus, che potrebbe essere legata al livello di interferoni di tipo I (INF), proteine che svolgono un ruolo fondamentale nella risposta immunitaria al virus, la cui carenza – ad esempio per cui errori congeniti nei geni che codificano per queste proteine – è stata collegata a circa il 20% dei casi critici di Covid-19. Nel 10% dei casi, le persone che sviluppano una forma grave di Covid ha autoanticorpi preesistenti contro gli IFN di tipo I, supportando ulteriormente la possibile mancanza di proteine nell’aumento della suscettibilità l’infezione.

Analogamente, anche per quanto riguarda la resistenza innata, la carenza di alcuni recettori o co-recettori utilizzati dall’agente patogeno per entrare nelle cellule ospiti, può ridurre il rischio di infezione. Su questa linea di ricerca, gli autori suggeriscono che le persone con gruppo sanguigno 0 potrebbero essere leggermente più resistenti, mentre il gruppo sanguigno AB0 può svolgere un ruolo diretto nell’infezione, fungendo da corecettore per Sars-CoV-2. Ulteriori geni candidati per la resistenza a SARS-CoV-2 includono quelli per il recettore ACE2 , che il virus utilizza per entrare nelle cellule. È stato inoltre trovato che una rara mutazione che riduce l’espressione di ACE2 può proteggere dall’infezione, ed è noto che diverse forme del recettore legano la proteina Spike del virus con affinità diverse.

Per testare questi potenziali obiettivi di resistenza, gli autori suggeriscono una strategia in quattro fasi, a seconda del livello di esposizione al virus, a partire dai soggetti non infetti nella stessa famiglia di persone con Covid sintomatico, quindi i soggetti esposti al virus senza dispositivi di protezione individuale, seguiti da quelli con PCR e test sierologici negativi dopo l’esposizione. “Infine – indicano gli studiosi – , la risposta delle cellule T – un tipo di cellula immunitaria – negli individui ‘resistenti’ deve essere confrontata con quella degli infetti”. Il team sta attualmente reclutando i partecipanti allo studio sulla resistenza, che finora ha arruolato 400 persone.

I risultati, sperano i ricercatori, potrebbero portare allo sviluppo di nuove terapie anti Covid. “Il nostro studio ha il potenziale per aprire la strada allo sviluppo di farmaci razionalmente nuovi che bloccano l'infezione da SARS-CoV-2 – ha aggiunto a IFLScience Andràs Spaan a capo del team di ricerca della Rockfeller University di New York – . L’emergere di varianti virali in parte in grado di sfuggire all’immunità serve come avvertimento che è probabile che il Covid-19 persista come problema di salute globale per anni. Data la mancanza di farmaci specifici ed efficaci per il trattamento, la necessità di svelare i meccanismi di resistenza congenita all’infezione da SARS-CoV-2 è diventata più urgente che mai”.

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