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Osservato raro evento di fusione tra tre coppie di buchi neri supermassicci: è la “danza” dei quasar

Grazie a diversi telescopi, un team di ricerca internazionale guidato da astrofisici dell’Università di Tokyo ha scoperto tre coppie di quasar in fusione, ovvero buchi neri supermassicci che emettono una fortissima radiazione luminosa a causa dell’attrito fra i gas che vorticano attorno ad essi. Si ritiene che soltanto lo 0,3 percento dei quasar abbia una doppia sorgente luminosa al suo interno, legata a sua volta a due enormi “cuori di tenebra”.
A cura di Andrea Centini
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Illustrazione di due buchi neri. Credit: NASA
Illustrazione di due buchi neri. Credit: NASA

Al centro di quasi tutte le galassie sono presenti buchi neri detti “supermassicci” poiché sono caratterizzati da una massa di milioni o miliardi di volte quella del Sole. Ad esempio, al centro della nostra galassia – la Via Lattea -ne risiede uno da circa 4 milioni di masse solari chiamato Sagittarius A*. Quando le galassie si fondono, anche i buchi neri al centro di esse tendo a farlo, creando giganteschi “cuori di tenebra” dopo una lunga e affascinante danza gravitazionale. L'attrito dei gas che vorticano attorno ai buchi neri supermassicci può innescare una fortissima emissione luminosa, più intensa di quella della galassia stessa, che dà vita a oggetti che gli scienziati chiamano quasar (QUASi-stellAR radio source), in pratica un nucleo galattico attivo. Ne consegue che possono fondersi anche due galassie con due quasar al centro di esse, e i ricercatori hanno appena scoperto ben tre coppie di questi rarissimi oggetti in fusione.

A intercettare le tre coppie di buchi neri supermassicci-quasar è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Università di Tokyo, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Astrofisica dell'Università di Princeton, dell'Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone, del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università della California, dell'ICREA dell'Università di Barcellona e di diversi altri istituti. Gli scienziati, coordinati dal professor John D. Silverman, docente presso il Kavli Institute for the Physics and Mathematics of the Universe dell'ateneo nipponico, li hanno scoperti sfruttando una serie di strumenti: il telescopio Subaru con la sua sensibilissima fotocamera Hyper Suprime-Cam (HSC) e i telescopi Keck-I e Gemini-North posizionati nei pressi della vetta del vulcano Maunakea alle isole Hawaii. Distinguere la luminosità di due quasar in fusione è complicato, per questo gli scienziati hanno avuto bisogno di più "occhi", ciascuno con le proprie peculiarità.

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La scoperta è comunque avvenuta per "caso". Come ha spiegato il professor Silverman in un comunicato stampa, infatti, il suo team stava analizzando il database dello Sloan Digital Sky Survey – che contiene ben 34.476 quasar, tutti rilevati dalla fotocamera HSC – per provare a capire quali tipologie di galassie “preferiscono” questi oggetti, quando si sono imbattuti in quasar con una doppia sorgente luminosa. Dopo aver calibrato meglio gli strumenti, hanno identificato ben 421 potenziali doppi quasar in fusione, ma un'analisi più approfondita condotta con i vari strumenti ne ha identificati con certezza soltanto 3, di cui uno già conosciuto dagli scienziati. La massa dei buchi neri supermassicci coinvolti negli eventi è di circa 100 milioni di volte quella del Sole. Grazie alla loro scoperta, Silverman e colleghi hanno potuto stimare che soltanto lo 0,3 percento di tutti i quasar noti ha due buchi neri supermassicci in fusione come fonte. Ciò significa che nell'Universo si tratta di un fenomeno molto raro.

“Nonostante la loro rarità, rappresentano una tappa importante nell'evoluzione delle galassie, dove il gigante centrale viene risvegliato, guadagnando massa e potenzialmente impattando sulla crescita della sua galassia ospite”, ha dichiarato il coautore dello studio Shenli Tang. I dettagli della ricerca “Dual Supermassive Black Holes at Close Separation Revealed by the Hyper Suprime-Cam Subaru Strategic Program” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata The Astrophysical Journal.

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