Nuovo studio mostra quanto è efficace la chiusura delle scuole per fermare i contagi da coronavirus
Durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, la chiusura delle scuole e delle università è stata una delle prime misure restrittive introdotte per spezzare la catena dei contagi, preludio del lockdown che di lì a poco si sarebbe reso necessario. In questi giorni stiamo vivendo la seconda, drammatica ondata di infezioni, la cui curva in crescita esponenziale rischia di portare nuovamente al collasso il sistema sanitario. Per questo si sta “spianando” la strada verso un possibile nuovo lockdown, mettendo di nuovo sul tavolo la chiusura delle scuole, come del resto già avvenuto in alcune regioni (suscitando non poche polemiche). Ma quanto è davvero efficace questa misura per piegare la curva epidemiologica?
A dimostrarlo, con tutti i limiti del caso, è un nuovo studio guidato da scienziati dello Usher Institute dell'Università di Edimburgo, Regno Unito, che hanno analizzato l'impatto di vari interventi non farmaceutici (NPI) – come appunto la chiusura delle scuole e altre misure draconiane – in ben 131 Paesi. Gli scienziati, coordinati dal professor Harish Nair, si sono basati sui dati raccolti dalla London School of Hygiene & Tropical Medicine (Londra, Regno Unito) e dall'Oxford COVID-19 Government Response Tracker tra il primo gennaio e il 20 luglio di quest'anno. Incrociando tutte le informazioni è emerso che la sola chiusura delle scuole potrebbe potrebbe ridurre la trasmissione del coronavirus SARS-CoV-2 del 15 percento dopo quattro settimane, mentre la loro riapertura potrebbe catalizzare i contagi del 24 percento dopo lo stesso intervallo di tempo. Lo studio ha suscitato l'interesse dell'immunologo e divulgatore scientifico Roberto Burioni, che ha pubblicato un estratto dell'articolo sul portale Medical Facts e un post su Facebook, senza tuttavia lasciare commenti sui risultati.
Il dato rilevato dagli scienziati dell'Università di Edimburgo è inferiore a quello emerso da un'altra indagine condotta da team di ricerca cinese, in base al quale la chiusura delle scuole “potrebbe ridurre il picco di incidenza del 40-60% e ritardare l’epidemia di COVID-19”, ricorda Burioni sul proprio sito. In questi giorni è uscito anche un altro rapporto sul tema, pubblicato dal Comitato scientifico per le emergenze (SAGE) del Regno Unito, in base al quale la chiusura di tutte le scuole sarebbe associata a una riduzione dell'indice Rt “di circa 0,2-0,5 punti”, mentre quella delle sole scuole di secondo grado porterebbe a una diminuzione dell'Rt di 0,35 punti.
Determinare con precisione quanto effettivamente la chiusura delle scuole possa offrire benefici non è affatto semplice per via dei numerosissimi fattori in gioco, inoltre non ci si può basare solo sui freddi numeri, considerando l'impatto devastante di questa misura su formazione, salute mentale e sana crescita di giovani e giovanissimi. Il team dell'Università di Edimburgo ha specificato che nel proprio studio non è stato possibile tenere in considerazione diversi parametri per diversi Paesi, come il distanziamento fisico degli alunni – sia all'interno che al di fuori delle classi – che misure di protezione alla stregua di mascherine e igiene delle mani. A pesare sul risultato finale anche l'impossibilità di prevedere l'effetto delle chiusure di scuole di diverso grado. I dettagli della ricerca “The temporal association of introducing and lifting non-pharmaceutical interventions with the time-varying reproduction number (R) of SARS-CoV-2: a modelling study across 131 countries” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The Lancet.