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Covid 19

Nuove speranze contro il coronavirus da farmaco per la pancreatite acuta: come agisce

Un team di ricerca dell’Università di Tokyo ha dimostrato che un farmaco anticoagulante e antivirale utilizzato contro la pancreatite acuta è in grado di bloccare la “fusione” tra il coronavirus e le cellule umane, impedendone di fatto invasione e replicazione. Ai promettenti test di laboratorio seguiranno studi clinici (sull’uomo) a partire da questo mese.
A cura di Andrea Centini
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C'è un nuovo farmaco che si aggiunge alla lista di quelli potenzialmente efficaci nel contrasto alla COVID-19, l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2. Si tratta del Nafamostat mesilato (nome commerciale Fusan), un medicinale con proprietà anticoagulanti, antivirali e anticancro utilizzato in Giappone per il trattamento della pancreatite acuta e altre condizioni. Fa parte della famiglia dei cosiddetti inibitori della proteasi, ovvero degli enzimi virali che producono proteine, ed è per questa ragione che questi farmaci vengono utilizzati anche contro il virus dell'HIV (responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita o AIDS) e quello dell'epatite C (HCV). Nel caso specifico della COVID-19, il Nafamostat mesilato sarebbe in grado di bloccare la fusione tra il coronavirus SARS-CoV-2 e le cellule umane, impedendo di fatto l'invasione e la replicazione del virus, alla base della patologia potenzialmente letale.

A determinare la possibile efficacia del Nafamostat mesilato è stato un team del Centro di ricerca per le malattie infettive dell'Istituto di scienze mediche presso l'Università di Tokyo. Ai medesimi risultati è giunto un altro team di ricerca internazionale, guidato da scienziati tedeschi dell'Infection Biology Unit – German Primate Center del Leibniz Institute for Primate Research, che hanno collaborato con i colleghi dell'Università di Gottinga, dell'Università Sechenov di Mosca e di diversi altri istituti. I ricercatori giapponesi, coordinati dai professori Jun-ichiro Inoue e Mizuki Yamamoto, avevano già dimostrato in laboratorio l'efficacia del Nafamostat mesilato contro il MERS-CoV, il coronavirus "cugino" del nuovo e responsabile della MERS (Middle East respiratory syndrome – Sindrome respiratoria mediorientale), così hanno deciso di testarne le potenzialità anche contro il SARS-CoV-2.

Ma come funziona esattamente il farmaco? Per spiegarlo gli scienziati hanno dapprima mostrato il modo in cui il coronavirus penetra nelle cellule umane. SARS-CoV-2, sottolineano Inoue e colleghi, è avvolto da un doppio strato lipidico costellato dalle cosiddette “spike” o spicole (la proteina S), che utilizza per agganciarsi al recettore delle ACE2 delle cellule umane e “scardinarle” come un grimaldello, permettendo l'invasione e la replicazione. Quando si avvia questo processo la proteina S viene suddivisa nelle componenti S1 e S2 da una proteasi derivata dalle cellule umane, che gli scienziati ritengono sia la Furina. “S1 quindi si lega al suo recettore, ACE2 – spiegano gli studiosi – l'altro frammento, S2, viene suddiviso da TMPRSS2, una proteasi serinica della superficie cellulare umana, con conseguente fusione della membrana. Secondo Hoffmann et al., ACE2 e TMPRSS2 sono essenziali nelle cellule delle vie aeree per determinare l'infezione da SARS-CoV-2”.

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In uno studio del 2016, come specificato, lo stesso gruppo di ricerca giapponese aveva osservato in test vitro l'efficacia del farmaco Nafamostat mesilato contro il MERS-CoV; il medicinale, in parole semplici, era in grado di impedire la fusione tra patogeno e cellule umane. Nel nuovo esperimento, basato su cellule 293FT (derivate dal rene fetale umano) che esprimono sia ACE2 che TMPRSS2, è stato ottenuto lo stesso risultato testando proteine del SARS-CoV-2. Il principio attivo è in grado di sopprimere la fusione tra la membrana cellulare umana e quella del virus, impedendone di fatto l'aggressione e la replicazione. Uno dei dettagli più interessanti della ricerca risiede nel fatto che il Nafamostat mesilato è risultato efficace a un decimo della concentrazione del Camostat, un farmaco affine che ha la stessa capacità antivirale. Il primo si somministra per via endovenosa, il secondo per via orale. Gli scienziati pensano si possano usare da soli o in combinazione a seconda delle esigenze. Naturalmente i risultati dovranno essere confermati in test clinici (sull'uomo) che l'Università di Tokyo avvierà questo mese, ma la sicurezza dei farmaci è nota da tempo quindi c'è molto ottimismo. I dettagli della ricerca giapponese sono stati presentati in un comunicato dell'ateneo di Tokyo, quelli dell'indagine tedesca, che è giunta a conclusioni simili, sono stati pubblicati sulla rivista Cell.

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