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Non riesci a contare le pecore per addormentarti? Forse hai l’afantasia: ecco cos’è

Nota sin dalla fine del 1800 ma definita scientificamente solo in tempi recenti, l’afantasia è una condizione medica caratterizzata dalla difficoltà (o dall’impossibilità) di elaborare immagini visive nel cervello. Ciò impedisce di visualizzare volti, oggetti, luoghi e animali nella propria mente, rendendo ad esempio impossibile “contare le pecore” per addormentarsi. Un nuovo studio ha dimostrato che chi soffre di questa condizione ha tuttavia una memoria spaziale integra.
A cura di Andrea Centini
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Durante il lockdown, chiusi dentro casa, in molti hanno sfruttato la propria immaginazione per trovarsi altrove, oltre le quattro mura: nel luogo preferito dove si trascorrono le vacanze, in mezzo alla natura, tra i cari che non si potevano raggiungere. L'immaginazione è una capacità potentissima della mente umana, che ha aiutato anche tante persone a "superare" il regime carcerario, come Nelson Mandela. Per la stragrande maggioranza di noi immaginare luoghi, oggetti e volti è un esercizio del tutto naturale, per così dire anche “banale”, tuttavia esiste una condizione medica chiamata afantasia (aphantasia) caratterizzata proprio dall'incapacità di visualizzare immagini visive nella mente. È come una sorta di cecità, con la differenza che a sparire è l'immaginazione visiva (del tutto o parzialmente). Chi soffre di afantasia, ad esempio, non può sfruttare il classico gregge di pecore che salta la staccionata per addormentarsi, proprio perché non può elaborare la scena mentalmente. Alcuni, a causa di essa, non riescono nemmeno a sognare.

La condizione è nota sin dalla fine del XIX secolo, quando l'esploratore, antropologo e climatologo britannico Francis Galton la descrisse, dopo un curioso esperimento nel quale chiese ai suoi conoscenti di raccontare quanto fossero vivide le immagini dei propri “voli mentali”. Non è stata definita compiutamente in letteratura scientifica fino al 2015, quando il professor Adam Zeman della Scuola di Medicina dell'Università di Exeter pubblicò l'articolo “Lives without imagery – Congenital aphantasia” assieme ai colleghi Michaela Dewarb e Sergio Della Sala, rispettivamente delle università di Edimburgo ed Heriot-Watt. Nel testo viene discussa principalmente l'afantasia congenita, cioè presente sin dalla nascita, tuttavia essa può manifestarsi anche dopo un intervento chirurgico particolarmente delicato, un trauma o un'altra malattia in grado di scatenarla. La perdita dell'immaginazione visiva risulta sensibilmente più impattante (soprattutto sotto il profilo psicologico) per le persone che prima la possedevano, ma tutti coloro che ne soffrono possono condurre una vita normale, realizzandosi in ogni campo, compreso quello artistico.

Un nuovo studio internazionale condotto da scienziati del Dipartimento di Psicologia dell'Università di Chicago in collaborazione con i colleghi dell'Istituto Nazionale di Salute Mentale di Bethesda (Stati Uniti) e dell'Università di Westminster (Regno Unito) ha dimostrato che le persone con afantasia, pur non potendo elaborare normalmente immagini visive col proprio cervello, possiedono comunque una memoria spaziale integra, che non è collegata al cosiddetto occhio della mente. “Alcuni individui affetti da afantasia hanno riferito di non capire cosa significhi ‘contare le pecore' prima di andare a letto”, ha affermato la professoressa Wilma Bainbridge, autrice principale dello studio. “Pensavano che fosse solo un'espressione e non si erano mai resi conto fino all'età adulta che altre persone potevano effettivamente visualizzare le pecore senza vederle”, ha aggiunto la scienziata esperta di neuroscienze dell'Università di Chicago.

Gli scienziati hanno coinvolto nel nuovo studio oltre un centinaio di persone, delle quali oltre la metà affetta da afantasia. Bainbridge e colleghi hanno sottoposto le fotografie di tre salotti differenti e hanno chiesto loro di ridisegnarli, prima immaginandoli con la mente e poi con una fotografia di supporto. Quando c'era la fotografia a disposizione, sia gli afantasiaci che le persone con immaginazione visiva tipica non hanno mostrato alcuna differenza nell'elaborazione del compito, sintomo che le differenze neurologiche “sono specifiche della memoria e non guidate da differenze nella capacità di disegno o elaborazione percettiva”, scrivono gli autori dello studio. Le differenze sono emerse quando è stato necessario disegnare a memoria, senza la fotografia a supporto. Chi soffriva di afantasia aveva più difficoltà a disegnare le stanze, e le “opere” presentavano meno dettagli, meno colori e talvolta parole al posto del disegno (ad esempio “finestra” dove c'era una finestra). Ma l'accuratezza spaziale era la stessa di chi non soffriva della condizione, cioè tutti gli oggetti inseriti, seppur di meno e meno dettagliati, erano correttamente posizionati nell'ambiente.

Curiosamente, chi soffriva di afantasia ha commesso meno errori di memoria. “Una possibile spiegazione potrebbe risiede nel fatto che, poiché gli afantasiaci hanno problemi con questo compito, si fa affidamento su altre strategie come la codifica verbale dello spazio. Le loro rappresentazioni verbali e altre strategie compensative potrebbero effettivamente renderli migliori nell'evitare falsi ricordi. Quelli con ricordi visivi più tipici, d'altra parte, potrebbero aver fuso immagini mentali di altri salotti che conoscevano. Un partecipante senza afantasia, ad esempio, ha aggiunto un pianoforte dove non ce n'era alcuno”, ha dichiarato la professoressa Bainbridge. Saranno necessari altri studi per comprendere cosa avviene a livello neurologico nei soggetti con afantasia, e la loro esperienza mentale unica potrà fornire nuove e preziose conoscenze “sulla natura delle immagini, della memoria e della percezione”. I dettagli della ricerca “Quantifying aphantasia through drawing: Those without visual imagery show deficits in object but not spatial memory” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Cortex.

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