Nel nuovo “Piano di conservazione e gestione del Lupo in Italia” messo a punto lo scorso anno dopo un lungo confronto fra Ministero dell'Ambiente, Regioni, Province Autonome, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e altre parti interessate, è stato stabilito che gli abbattimenti dei lupi non servono, ma è necessario attuare una strategia che punti alla “conservazione ed alla risoluzione sostenibile dei conflitti con le attività antropiche”. Il Piano, che ne ha sostituito uno del 2002, è incentrato su 22 azioni atte a tutelare le persone, i loro beni (in particolar modo il bestiame) e naturalmente i carnivori, grazie a una “rigorosa analisi tecnico-scientifica” che ha fatto da ago della bilancia. In parole semplici, si è deciso di salvare la vita ai lupi e di mettere in campo tutte le risorse possibili per proteggere (e risarcire) chi vive e lavora nelle aree frequentate dai predatori.
Nonostante l'approvazione di questo virtuoso e incruento modello di conservazione, cui ha plaudito anche la Commissione Europea, esponenti politici di una certa “scuola di pensiero” tornano ciclicamente a richiedere l'abbattimento selettivo dei grandi carnivori, lupi compresi, in seguito ad assalti condotti ai danni di mandrie e greggi. L'ultimo in ordine cronologico a pronunciarsi in favore dell'uccisione dei lupi è stato Alberto Preioni, presidente del gruppo della Lega nel Consiglio regionale del Piemonte, dopo l'aggressione di un lupo affamato ai danni di una vitella in Val Vigezzo (salvata dall'intervento del veterinario) e l'uccisione di alcune pecore. Queste le parole dell'esponente del Carroccio: “Dobbiamo passare a piani di abbattimento selettivo dei lupi, come richiesto a più riprese dagli allevatori e come già avviene nelle valli francesi. Come denunciato da coloro che in montagna vivono e portano avanti le proprie attività sugli alpeggi, anche il sistema dei risarcimenti non può essere l’unico ristoro e l’unica soluzione. Dobbiamo innanzitutto difendere le mandrie prima che gli allevatori decidano di gettare la spugna di fronte allo strapotere del lupo: non possiamo permetterci l’irreversibile desertificazione delle terre alte solo perché qualcuno vuole negare la realtà nel nome di un animalismo cieco e talebano”.
Soffermiamoci sul concetto di “strapotere del lupo”. Stiamo parlando di un animale che a causa dell'ignoranza, della superstizione e della cattiveria dell'uomo era stato portato sull'orlo dell'estinzione da quasi tutta l'Europa, Italia compresa. Intere popolazioni furono letteralmente sterminate soprattutto a cavallo tra l'800 e la prima metà del ‘900: in Europa Centrale il predatore è ancora oggi praticamente assente, a seguito dell'eradicazione. Quando si comprese che i lupi rischiavano di sparire per sempre dalla biodiversità italiana, e si capì il ruolo fondamentale che questi predatori giocano nel mantenere in salute e in equilibrio gli ecosistemi, a partire dagli anni '70 furono introdotte le prime, rigide misure per tutelarli. Fu così che i sopravvissuti al massacro, concentrati nell'area centrale dell'Appennino, diedero vita a una lenta ma preziosa crescita del numero degli esemplari, che decennio dopo decennio sono tornati a diffondersi nel proprio habitat naturale, riconquistando non solo gli Appennini, ma anche le aree alpine, dove oggi è in atto lo “scontro” più aspro con chi sulle montagne vive e lavora. Di pari passo sono aumentati anche i numeri dei cosiddetti ibridi, incroci tra lupi e cani, spesso responsabili delle razzie di cui viene accusato il vero lupo grigio appenninico (Canis lupus italicus).
Va tenuto presente che il lupo che vive in Italia, il lupo grigio appenninico appunto, è una sottospecie unica al mondo, caratterizzata da un patrimonio genetico esclusivo che si è separato da quello dagli altri lupi migliaia di anni fa, ai tempi dell'ultima glaciazione. A sottolinearlo l'affascinante ricerca “Combining phylogenetic and demographic inferences to assess the origin of the genetic diversity in an isolated wolf population” condotta da scienziati italiani e pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica PloS ONE. “Abbiamo studiato la variabilità genetica di centinaia di lupi provenienti da cinque diverse popolazioni europee e quello che è emerso è chiaro: il lupo italiano è nettamente distinto da tutti gli altri lupi d'Europa e del mondo, sia a livello di cromosomi autosomici, la maggior parte del DNA di un individuo, che a livello mitocondriale, ovvero il DNA ereditato per via materna”, ha dichiarato il professor Romolo Caniglia, genetista presso l'ISPRA e a capo del team di ricerca.
Il lupo italiano è dunque un animale unico e prezioso, e nonostante i numeri siano in aumento, la sottospecie è ancora minacciata. A dimostrarlo è la classificazione con codice VU (Vulnerabile) nella Lista Rossa dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), l'ente che certifica lo stato di salute degli animali. Altro che “strapotere del lupo”. Secondo una recente indagine dell'ISPRA, sulle Alpi si stima una popolazione di circa 300 esemplari, mentre per il resto del territorio nazionale gli esperti stimano che vi siano tra un migliaio e circa 2.500 esemplari. Sono questi numeri da far supporre una “emergenza che pare fuori controllo” e che dovrebbero permettere l'abbattimento mirato degli esemplari? Qui non si tratta di “animalismo cieco e talebano” come suggerito dall'esponente della Lega, ma di puro buon senso, di rispetto per la vita di un predatore ancora oggi minacciato, che vive ovviamente secondo le leggi della natura.
Certo, la visione antropocentrica del mondo spinge a pensare che basta premere un grilletto per risolvere agevolmente i problemi di convivenza: ma siamo sicuri che funzionerebbe davvero? A quanto pare no. Un rapporto stilato dalla Commissione PETI del Parlamento Europeo è giunto a questa conclusione: “L'idea di ‘controllare' la popolazione di un predatore apicale che è legalmente protetto (Berna, Direttiva Habitat e normative di diversi stati membri) è fuori luogo a causa della rilevanza ecologica della popolazione e perché tale azione è incoerente con la conoscenza scientifica. I predatori apicali hanno tratti unici che consentono l'autoregolazione della popolazione, a causa del loro comportamento e della loro ecologia. Questi tratti importanti possono essere gravemente influenzati da perturbazioni come la caccia e l'abbattimento”. Insomma, ucciderli non serve a nulla ed è dannoso, oltre che ingiusto e crudele.
I lupi sono rigidamente protetti dalla Convenzione del 1979 sulla conservazione della fauna selvatica e degli habitat naturali europei (la Convenzione di Berna) e nei paesi dell'UE dalla Direttiva Habitat del 1992, che ha come obiettivo principale la tutela e il mantenimento della biodiversità. In Italia il lupo è tutelato sin dal 1971 ed è inserito nella lista delle specie “particolarmente protette”, con riferimento all’art.2 della legge n.157 dell'1 febbraio 1992. Non a caso chi uccide o cattura un lupo rischia diversi mesi di carcere. Alla luce di tutte queste considerazioni, proporre abbattimenti mirati non davvero ha alcun senso, se non quello di ampliare il proprio consenso elettorale in una certa fascia della popolazione.
Che il problema della convivenza esista non lo si può assolutamente negare, come del resto dimostrano i fatti di cronaca che coinvolgono greggi e bestiame (in Italia sono trascorsi 150 anni dall'ultimo attacco all'uomo da parte di un lupo), ma non si può e non lo si deve risolvere passando per l'uccisione di animali minacciati e preziosi. C'è un piano di gestione sottoscritto di recente e dovrebbe essere fatto tutto il necessario affinché vengano rispettati e realizzati i 22 punti strategici che lo caratterizzano, al fine di proteggere tutte le parti senza odiosi spargimenti di sangue. Infine, è doveroso sottolineare che il pianeta non è nostro. Con tutti i danni ambientali che abbiamo arrecato per avidità e scarsa lungimiranza, forse in parte riusciremo a redimerci proprio tutelando quelle specie che più hanno sofferto a causa nostra.