Nobel Carlos Nobre: “Entro 30 anni Amazzonia come la savana”. Vicini a punto di non ritorno
Se non invertiremo la rotta per porre un freno ai cambiamenti climatici, entro quindici-trenta anni il 70 percento dell'Amazzonia diventerà semi-arida, “savanizzata”. Lo ha affermato il climatologo brasiliano di fama internazionale Carlos Nobre, che nel 2007 conquistò il Premio Nobel per la Pace assieme ad Al Gore e a tutti i suoi colleghi del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici dell'ONU, proprio per il lavoro svolto sugli effetti e le conseguenze del riscaldamento globale catalizzato dalle attività umane.
Nobre, nato a San Paolo sessantotto anni fa, è intervenuto alla Camera dei deputati di Palazzo Montecitorio in una conferenza dedicata alla delicatissima situazione della Foresta Amazzonica e al suo ruolo cruciale nel mantenere gli equilibri climatici globali. L'Amazzonia dall'inizio dell'anno è stata deturpata da decine di migliaia di incendi, moltissimi dei quali innescati da agricoltori e allevatori senza scrupoli per ampliare i terreni a propria disposizione. Lo studioso ha sottolineato che stiamo arrivando “al punto di rottura”, siamo cioè prossimi a varcare quel limite che non ci permetterà più di rimediare alle ferite che abbiamo inferto alla Terra e al suo “polmone verde”. La Foresta Amazzonica, che si estende per 6 milioni di chilometri quadrati, assorbe una quantità enorme di carbonio, una proprietà che tende a ridursi a causa degli incendi, semplicemente perché viene ridotto il numero di alberi. Mentre la vegetazione in fumo, fra l'altro, vengono immesse grandi quantità di anidride carbonica in atmosfera, il principale dei gas serra, e con essa altri gas nocivi, come il tossico monossido di carbonio rilevato dalla NASA nelle scorse settimante.
Il coordinatore dei Verdi Angelo Bonelli, intervenuto alla conferenza, ha sottolineato che “l'Amazzonia è uno straordinario patrimonio di biodiversità”, e ciò che sta avvenendo in Brasile, con riferimento ai devastanti incendi, riguarda tutto il mondo, non solo i brasiliani. Una chiara frecciata al presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che recentemente si è presentato alle Nazioni Unite sottolineando che l'Amazzonia appartiene al Brasile e non al resto del mondo. “Dobbiamo sconfiggere questa visione, contrapporre l'ecologismo al sovranismo”, ha aggiunto il politico. Il rappresentante della ONG “Saude e Alegria” Caetano Scannavino ha sottolineato che gli incendi non sono iniziati con Bolsonaro, come del resto mostrano i dati storici raccolti dall'INPE (Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais – Istituto nazionale di ricerche spaziali), tuttavia adesso chi vuol distruggere l'Amazzonia si sente “impunito”. Il riferimento alle chiare politiche antiambientaliste di Bolsonaro, che ha allentato le sanzioni per i reati ambientali e fatto concessioni alle aziende e ai proprietari terrieri interessati a “divorare” parti della Foresta Amazzonica. La coordinatrice della “Campagna foreste” di Greenpeace Italia Martina Borghi si è invece soffermata sul patrimonio naturalistico rappresentato dalla Foresta Amazzonica, “la casa del 10 percento delle specie conosciute”, e sulle conseguenze devastanti degli incendi sul clima globale.