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No, la nuova influenza aviaria H10N8 non è una minaccia globale imminente

Ricercatori hanno spiegato che il nuovo tipo di influenza individuato in Cina diversi mesi fa non pone ancora problemi per la salute pubblica.
A cura di Nadia Vitali
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Recentemente uno studio indipendente condotto da alcuni ricercatori britannici ha sollevato un polverone contro la casa farmaceutica Roche (neanche il solo, visti gli ultimi sviluppi del caso Avastin-Lucentis): in un articolo pubblicato dal prestigioso British Medical Journal, infatti, veniva svelato come il farmaco anti-aviaria noto come Tamiflu non fosse niente di particolarmente diverso dal semplice paracetamolo. Indicato nel 2000 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come il medicinale più idoneo a combattere l'eventualità di una pandemia, si sarebbe rivelato una sorta di Tachipirina (pagata a peso d'oro dalle sanità pubbliche di diversi Paesi) che, in ogni caso, non risultava in grado di contrastare le complicazioni da virus; a ciò va aggiunta la considerazione, ben poco clemente, che la proprietà del brevetto del Tamiflu era di una società che faceva capo a Donald Rumsfeld (segretario di Stato dal 2001 al 2006, nell'era di George W. Bush) e che l'OMS sopravvalutò la pericolosità delle epidemie da virus della influenza aviaria, probabilmente spinta dagli stessi enti medici americani.

H10N8, un'influenza ancora "aviaria" a tutti gli effetti

L'esperienza insegna che la cautela in casi come questo deve costituire la norma: e, effettivamente, al momento i ricercatori del National Institute for Medical Research britannico lasciano poco spazio all'allarmismo nel proprio articolo pubblicato dalla rivista Nature che prende in esame la nuova influenza aviaria, causata dal virus H10N8. Scoperta soltanto nel dicembre del 2013, è stata riscontrata fino ad ora in tre casi, due dei quali a decorso fatale. Nell'analizzare la struttura molecolare del virus isolato, i ricercatori avrebbero riscontrato nell'emoagglutinina una sostanziale affinità con i recettori presenti nell'organismo umano: tale affinità determinerebbe un legame simile a quello che, in passato, ha causato epidemie come quella di Spagnola nel 1918 o come quella causata dal virus H7 nel 2013. Insomma, anche a questo ceppo di influenza "piacciono" i recettori umani: gli stessi ricercatori hanno però sottolineato che l'"avidità" del virus preferisce di gran lunga i recettori aviari, con i quali si lega più strettamente per prosperare meglio. L'evidente propensione di H10N8 ad infettare uccelli anziché umani è un tratto caratteristico che, fin tanto che resterà invariato e non si capovolgerà del tutto, comporterà l'assenza di una seria minaccia di pandemia tra gli uomini: in sintesi, l'attenzione degli studiosi dovrà appuntarsi sulle possibili mutazioni del virus che potrebbero portarlo a prediligere gli umani ma, per adesso, la situazione può dirsi sotto controllo. Il professor John McCauley, direttore del World Health Organization Influenza Centre ha spiegato alla BBC che «Questo è stato un evento abbastanza raro in un posto come la Cina. Evidenzia senz'altro la necessità di stare sempre in guardia: ma non credo che costituisca un pericolo imminente».

Altri virus dall'oriente?

Non sarebbe, in ogni caso, la prima volta che un'influenza aviaria "fa il salto" dall'animale all'uomo: il fenomeno sarebbe più evidente in estremo oriente dove una parte della popolazione vive a stretto contatto con i volatili in luoghi come i grandi mercati di pollame. Proprio in Cina, infatti, è emerso nel marzo dello scorso anno il virus H7N9, potenzialmente pandemico e che ha già sviluppato mutazioni pericolose: in quattordici mesi è stato segnalato in oltre un centinaio di casi, portando fino ad ora ad una quarantina di decessi accertati.

Taiwan, istruzioni elementari per contrastare l'infezione da H7N9
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Proprio su questo ceppo di influenza aviaria, e su altri che sono emersi o stanno emergendo nell'area del sud-est asiatico, i ricercatori pensano che sia più opportuno concentrare i propri sforzi mentre, per quanto riguarda l'H10N8, fatta salva la necessità di non sottovalutare mai alcun pericolo, non è forse ancora giunto il momento di lanciare l'ennesimo allarme: c'è il rischio, lo sappiamo, che si ripeta la solita storia.

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