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Morbo della mucca pazza, speranze da nuova terapia che triplica sopravvivenza in laboratorio

Grazie a oligonucleotidi antisenso progettati in laboratorio per colpire in modo specifico la proetina prionica umana e ridurne i livelli, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati americani è riuscito a triplicare la sopravvivenza di animali infettati da prioni. La terapia sperimentale potrebbe essere applicata nei pazienti colpiti dalla forma umana del “morbo della mucca pazza”.
A cura di Andrea Centini
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Come specificato dal portale Orphanet, le malattie da prioni “sono sono un gruppo di malattie rare trasmissibili, caratterizzate da sintomi neurologici progressivi debilitanti” e che hanno un decorso sempre letale. La forma più diffusa di malattia prionica è la forma umana dell'encefalopatia spongiforme bovina o BSE (acronimo di Bovine Spongiform Encephalopathy), nota al grande pubblico con nome di “morbo della mucca pazza”. Il consumo di carne bovina infetta può innescare la patologia chiamata malattia di Creutzfeldt-Jakob. Oltre l'80 percento dei casi di malattie da prioni nell'uomo è rappresentato proprio da questa forma di encefalopatia, incurabile come tutte le malattie prioniche. Ora, grazie a un nuovo studio, sono state gettate le basi per una promettente terapia sperimentale che potrebbe prolungare in modo significativo la vita dei pazienti colpiti dalle rare malattie da prioni.

Queste patologie si innescano quando viene alterata la struttura di normali proteine presenti nell'uomo, che a causa dell'esposizione alla proteina infettiva si ripiegano in modo anomalo e determinano l'accumulo di grumi tossici nel tessuto cerebrale. Poiché la presenza della forma sana della proteina prionica è fondamentale per lo sviluppo della malattia, ridurne la concentrazione è considerato un approccio terapeutico dalle grandi potenzialità. È proprio grazie a una specifica molecola in grado di ridurre i livelli della proteina prionica che un team di ricerca internazionale ha gettato le basi per una promettente terapia; nei modelli animali, infatti, ha prolungato sensibilmente la sopravvivenza.

A mettere a punto l'approccio terapeutico è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dello Stanley Center for Psychiatric Research presso il Broad Institute del MIT e dell'Università di Harvard, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del McLaughlin Research Institute, della Ionis Pharmaceuticals Inc, della Western Washington University, del Cervo Brain Research Center e di numerosi altri istituti. A coordinare la ricerca la dottoressa Sonia M Vallabh, che si è interessata a questa famiglia di malattie dopo aver scoperto di essere portatrice di un gene mutato che codifica per la proteina prionica umana.

Vallabh e colleghi nei propri esperimenti hanno utilizzato vari oligonucleotidi antisenso, progettati in laboratorio per colpire in modo specifico la proetina prionica umana e ridurne le concentrazioni. Utilizzando un mix di questi oligonucleotidi in animali infettati da prioni, hanno scoperto che la loro sopravvivenza è stata triplicata rispetto a quella di animali non trattati. Basta una singola dose per ottenere dei benefici, anche quando si stanno accumulando i primi grumi tossici nel cervello, ma l'infusione deve avvenire prima della comparsa dei sintomi. Benché si tratti ancora di studi preliminari, l'autrice principale dello studio ha sottolineato che i risultati ottenuti sono promettenti e che i farmaci espressamente progettati per colpire la proteina prionica nel cervello “potrebbero rivelarsi efficaci nella clinica”. I dettagli della ricerca “Prion protein lowering is a disease-modifying therapy across prion disease stages, strains and endpoints” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nucleic Acids Research dell'Università di Oxford.

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