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Opinioni

Minacce e risorse dei nostri oceani

Alterazione della corrente del Golfo, riscaldamento globale della acque, squilibri chimici: sono tra i maggiori pericoli che devono fronteggiare i microrganismi che vivono negli oceani. Con conseguenze per l’intero equilibrio ecologico.
A cura di Julia Rizzo
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oceani

La Corrente del Golfo ha leggermente modificato il suo corso, portando acque calde a zone che in precedenza erano più fredde. Il flusso, che dal Golfo del Messico scorre verso nord nell'Oceano Atlantico, sta riscaldando le acque profonde lungo le coste degli Stati Uniti orientali, destabilizzando i gas serra intrappolati nei sedimenti. Al largo della costa del North Carolina, una miscela congelata di acqua e gas metano intrappolata nei fondali marini sta iniziando a sciogliersi. Gli atomi di metano si separano dalle molecole di acqua e il gas formatosi potrebbe evaporare dagli oceani raggiungendo l'atmosfera e incrementando di conseguenza i gas serra che minacciano il nostro pianeta."Sappiamo che il riscaldamento delle acque può potenzialmente condurre a destabilizzare la chimica dei sedimenti in questa regione", dice Matthew Hornbach, un geologo marino presso la Southern Methodist University di Dallas, Texas, autore dello studio pubblicato su Nature.

Combinando i modelli di dinamica della temperatura sotto la superficie oceanica con le immagini dei sismi sub-marini, gli autori hanno potuto stabilire a quale profondità l'idrato di metano non è più stabile e si trasforma dallo stato solido congelato a gas libero. Poiché la formazione e la stabilità di questi composti dipende dalla temperatura, i dati raccolti in questo studio potrebbero essere utilizzati per identificare le zone a maggiore rischio di rilascio di metano negli oceani. Ci sono, infatti, altri depositi di idrati di tutto il mondo che meritano attenzione. L'Artico è in fase di rapido riscaldamento con conseguente perdita di ghiaccio marino e mutevoli condizioni oceanografiche.

Le minacce alla base della catena alimentare

Le risorse degli erbivori marini tropicali stanno diventando sempre più limitate con il riscaldamento globale delle acque. Secondo un nuovo studio, con l'aumento delle temperature, molte specie di fitoplancton, microscopici organismi monocellulari vegetali e cibo principale dei grandi erbivori marini, andranno a diminuire se non a estinguersi. Di conseguenza, anche i grandi mammiferi saranno costretti a spostarsi dai tropici verso i poli per cercare cibo in acque più fredde. Gli autori stimano che fino a un terzo del fitoplancton tropicale potrebbe essere spinto fuori dalle latitudini tropicali entro il 2100.

Il fitoplancton gioca un ruolo chiave nelle catene alimentari del nostro pianeta, in particolare cattura il biossido di carbonio dall'atmosfera e lo imprigiona nel mare profondo, attuando una sorta di “depurazione” dell'aria. Nonostante il ruolo centrale del fitoplancton negli ecosistemi marini, rimane da comprendere a fondo la sua distribuzione negli oceani e i suoi cambiamenti in risposta all'aumento delle temperature dell'acqua. Per scoprirlo, gli scienziati hanno raccolto dati pubblicati in precedenza su come più di 130 specie di fitoplancton rispondono all'alterazione di temperatura. Hanno stimato i tassi di crescita, le temperature massime per la moltiplicazione ottimale e gli intervalli di temperatura entro i quali ogni specie potrebbe sopravvivere. I ricercatori hanno scoperto che il fitoplancton nelle regioni polari e temperate cresce meglio a temperature superiori a quelle medie annuali degli oceani in cui vivono. Le specie tropicali crescono meglio a temperature pari o al di sotto di quelle ai tropici. Gli scienziati ne deducono che queste sono quelle più vulnerabili al riscaldamento degli oceani. Probabilmente, le specie di fitoplancton tropicali non sono in grado di adattarsi abbastanza velocemente al riscaldamento delle acque in corso. Di conseguenza, se l'andamento del riscaldamento degli oceani continua a questo ritmo, rischiamo un'alterazione degli equilibri nella vita dei microrganismi marini e le specie tropicali potrebbero essere spinte in aree più piccole o addirittura scomparire del tutto.

Un progetto globale per monitorare la biodiversità marina

La biodiversità marina

Lo Smithsonian Institution, istituto di istruzione e ricerca amministrato e finanziato dal governo degli Stati Uniti, ha annunciato che lancerà Global Project, il primo studio di rete mondiale che monitorerà la biodiversità marina e gli ecosistemi costieri in tutto il mondo per un lungo periodo di tempo. Sul sito www.ocean.si.edu è possibile tenersi aggiornati su tutti i dettagli delle ricerche e sulle numerose iniziative nell'ambito dell'oceanologia. Grazie alla collaborazione di esperti in biologia, ecologia e antropologia, e all'utilizzo di innovative tecnologie come il sequenziamento del DNA e il telerilevamento satellitare, il progetto fornirà una comprensione senza precedenti di come la biodiversità marina è influenzata da attività umane locali e cambiamenti globali, come ad esempio il riscaldamento degli oceani, l'acidificazione delle acque costiere. "Dato che le nostre coste subiscono rapidi cambiamenti a causa di attività umane e degli effetti del cambiamento climatico, è più importante che mai monitorare e comprendere la biodiversità degli oceani", ha detto il segretario dello Smithsonian Institution Wayne Clough.

Il lavoro dell'equipe di esperti si ispira alla metodologia delle ricerche che vengono svolte per comprendere la biodiversità delle foreste pluviali. Il progetto avrà cinque siti di campo: Edgewater nel Maryland, Fort Piercein in Florida, Belize e Bocas Del Toro nei Caraibi oltre che Naos nel Pacifico. Per la registrazione e la comparazione della diversità e l'abbondanza di organismi marini, gli scienziati saranno in grado per la prima volta di avere una quadro generale dei cambiamenti ambientali che avvengono sulle coste degli oceani.

Gli Oceani ricoprono il 70% della superficie del pianeta e raggiungono una profondità media di 4-5 chilometri. Queste immense distese di acqua salata svolgono un ruolo fondamentale nell'ecosistema globale. La zona più superficiale, dove arriva la radiazione solare, ospita un popolamento di alghe unicellulari fotosintetiche (fitoplancton) e lo zooplancton, costituito da piccoli crostacei, uova e forme larvali di molti pesci e invertebrati. Queste forme planctoniche rappresentano il cibo per i pesci che vivono prevalentemente in una seconda zona, quella afotica, ovvero dove non arriva la luce ed è quindi molto più fredda della zona superficiale. Sul fondo, detta zona bentica, vivono animali sessili, come spugne e anemoni di mare e diversi tipi di funghi e batteri. Tutte le zone sono collegate tra loro dalla cosiddetta catena alimentare creando un sottile e delicatissimo equilibrio ecologico.

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Julia Rizzo è laureata in biologia ed è appassionata di comunicazione scientifica, soprattutto in ambito naturalistico ma anche biomedico. Attualmente vive a Bolzano.
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