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Meccanismo che uccide i tumori aggressivi svelato da team guidato dall’italiano Davide Ruggero

Gli scienziati coordinati dal ricercatore calabrese hanno scoperto che bloccando la proteina P-eIF2a si spinge il tumore a lavorare troppo fino a quando non esaurisce tutte le energie, portandolo alla morte.
A cura di Andrea Centini
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Davide Ruggero
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Una proteina che aiuta i tumori aggressivi a crescere e proliferare nell'organismo può essere bloccata, provocando la morte delle cellule cancerose e la conseguente riduzione della malattia. A scoprire il virtuoso meccanismo biologico un team di studiosi dell'Università della California di San Francisco e dell'Università della Pennsylvania. I ricercatori, guidati dal dottor Davide Ruggero, scienziato di origini calabresi che da molti anni lavora presso il Dipartimento di Urologia e la Scuola di Medicina dell'ateneo californiano, sono giunti a questa conclusione dopo aver condotto diversi esperimenti con i topi.

Gli scienziati hanno innanzitutto studiato numerosi casi di cancro alla prostata nell'uomo, evidenziando due mutazioni genetiche che modificano l'attività di una proteina chiamata eIF2A (acronimo di Eukaryotic translation initiation factor 2A). Una volta alterata, la proteina codificata dal gene EIF2A prende il nome di P-eIF2a, una forma molto simile a un'altra proteina che nelle cellule sane regola il consumo di energia in condizioni di stress, riducendolo. Nelle cellule dei tumori aggressivi la P-eIF2a gioca un ruolo fondamentale, poiché per svilupparsi il cancro ha sì bisogno di tanta energia, ma non può esagerare col consumo delle risorse. In parole semplici, la proteina funge da controllore che permette ai tumori di accrescersi e diffondersi nell'organismo.

Ruggero e colleghi hanno scoperto che i tumori aggressivi sono particolarmente dipendenti dalla gestione di questa proteina; bloccandone l'attività, infatti, si induce la massa tumorale alla morte per il troppo lavoro e il conseguente consumo di tutte le energie, come sottolineato dallo stesso Ruggero all'ANSA. Facendo esperimenti con topi geneticamente modificati, gli studiosi hanno dimostrato che un specifico composto riesce a bloccare la proteina P-eIF2a e portare i tumori all'autodistruzione. La riduzione della massa tumorale è stata osservata a partire dalla terza settimana dal trattamento.

Il team crede che la proteina P-eIF2a sia alla base di altri tumori aggressivi e non solo di quello alla prostata, per questo condurranno ulteriori studi ad hoc. Vista l'efficacia negli esperimenti con i topi, entro un anno il farmaco potrebbe essere testato anche su pazienti umani. I dettagli della ricerca guidata dallo studioso italiano sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Science Translational Medicine.

[Credit: Dipartimento di Urologia/Università della California di San Francisco]

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