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Maschi e femmine hanno un cervello diverso: le donne sono più sensibili

Un team di ricerca internazionale ha dimostrato che il cervello di uomini e donne lavora a un ritmo leggermente differente sotto il profilo dell’attività elettrica. Il cervello femminile è più abile nel riconoscere le emozioni positive e negative.
A cura di Andrea Centini
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Il cervello degli uomini e delle donne lavora a un ritmo differente, con quello femminile più “abile” nel riconoscere ed elaborare le emozioni degli altri, sia quelle positive che quelle negative. Ciò significa che non sussiste solo una differenza anatomica e funzionale, ma anche sotto il profilo dell'attività elettrica. Lo ha determinato per la prima volta un team di ricerca internazionale, composto da studiosi dell'Università di Twente (Olanda), dell'Istituto di Neuroscienze di Nimega e dell'Università di Zurigo (Svizzera).

Gli studiosi, coordinati dal professor Michel van Putten, docente di neurofisiologia presso l'ateneo olandese, lo hanno dimostrato sfruttando una “rete neurale convoluzionale”, una complessa intelligenza artificiale (con 9 milioni di parametri) che simula una rete di neuroni. Le differenze emerse sono così sottili che nemmeno il miglior neurologo al mondo avrebbe potuto osservarle.

All'intelligenza artificiale sono stati “dati in pasto” 1300 segnali di EEG (elettroencefalografie), e successivamente è stata addestrata attraverso il cosiddetto apprendimento profondo (deep learning), al fine di scovare le minime differenze nell'attività elettrica fra il cervello maschile e quello femminile. I ricercatori hanno scoperto la principale differenza nell'attività beta, una gamma di frequenze comprese tra 20 e 25 Hertz, che è legata proprio alle emozioni ma anche alle funzioni cognitive. Altre ricerche precedenti avevano già dimostrato una migliore capacità delle donne di riconoscere le emozioni, ma per la prima volta è stata data una dimostrazione pratica.

Non si tratta di una ricerca fine a se stessa, poiché secondo van Putten e colleghi queste differenze potrebbero essere più che sufficienti per aprire le porte a nuovi approcci terapeutici mirati, cioè specifici per il genere, sia nel campo psichiatrico che in quello neurologico. I dettagli dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports.

[Credit: TheDigitalArtist]

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