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Ma i nubifragi si possono prevedere (meglio)?

Secondo uno studio recente, la prevedibilità degli eventi atmosferici estremi potrebbe essere migliorata con l’inclusione di un parametro specifico.
A cura di Redazione Scienze
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Quando non è l'incuria dell'uomo o l'impatto antropico scellerato ad aggravare le conseguenze del maltempo, ci si mettono quegli eventi atmosferici estremi che, secondo gli scienziati, sarebbero il frutto impazzito del cambiamento climatico degli ultimi decenni. Ma tali fenomeni possono essere previsti? Certamente sì, anche se è chiaro che la precisione in meteorologia, purtroppo, non è stata ancora raggiunta: tuttavia, in un recente studio pubblicato da Nature, alcuni scienziati sostengono che la prevedibilità può essere migliorata modificando i modelli di previsionali.

Previsioni e probabilità

Come spiegato da Le Scienze, i ricercatori dell'European Centre for Medium-Range Weather Forecasts avrebbero infatti dimostrato che l'alto rischio di alluvione potrebbe essere previsto addirittura con tre giorni di anticipo rispetto a quanto accade adesso, almeno limitatamente ad alcune regioni del Vecchio Continente. Purtroppo il sistema meteorologico è estremamente complesso e basa le sue conclusioni sul calcolo probabilistico, esponendosi così spesso alla possibilità di incappare in errori fatali: questo accade perché basta un mutamento anche molto piccolo nei parametri iniziali di riferimento per dare vita ad esiti completamente diversi, soprattutto per quanto riguarda le previsioni a medio raggio (ossia, al di là dei tre giorni e fino alle due settimane). L'unico metodo per limitare questo problema consiste nell'eseguire un numero elevato di simulazioni al computer servendosi dei modelli previsionali, modificando ogni volta leggermente le condizioni di partenza per vedere i possibili sviluppi, traendone così delle conclusioni statistiche, appunto.

I fiumi di vapore

Le variabili considerate dai modelli riguardano temperatura, umidità, radiazione solare nella sua intensità e durata, nuvolosità, precipitazioni e, chiaramente, il vento, la sua velocità e la sua direzione. Secondo i ricercatori, però, c'era un altro elemento non debitamente considerato, ossia il trasporto orizzontale di vapore: macroscopiche masse di aria umida, le quali formano qualcosa di molto simile a dei giganteschi "fiumi" di impalpabile atmosfera, con una larghezza di 400-500 chilometri e 2000 chilometri di lunghezza. In pratica, questi immensi fiumi invisibili si sonderebbero attraverso l'Atlantico settentrionale per giungere fino all'Europa, dove una parte del vapore che li costituisce cadrebbe sulla superficie sotto forma di precipitazioni.

Gli studiosi guidati da David Laver hanno quindi deciso di provare la correttezza di questa ipotesi, ricalcolando le previsioni meteorologiche "del passato" con l'aggiunta della variabile "trasporto orizzontale di vapore" nei loro modelli: è stato così più semplice verificare cosa suggerivano le misurazioni e cosa era realmente accaduto, relativamente all'inverno 2013-2014. Effettivamente i risultati avrebbero dimostrato come le previsioni relative all'intensità delle precipitazioni risulterebbero, con l'inserimento di questo parametro, estese fino a un massimo di tre giorni: insomma, nubifragi e diluvi potrebbero essere più facilmente e rapidamente intercettati, osservando anche i fiumi di vapore. Peccato che il discorso valga soltanto per le regioni che vengono lambite da questo fenomeno, poste lungo l'Oceano Atlantico: quindi Spagna, Gran Bretagna e Germania potrebbero beneficiare di previsioni più accurate, la Francia molto di meno e l'Italia e i Balcani praticamente per niente.

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