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L’orca Tahlequah ha lasciato andare il suo cucciolo morto: l’ha trascinato per 17 giorni

La femmina di 20 anni, dopo aver lasciato la carcassa del cucciolo al suo destino, è stata vista andare a caccia di salmoni dagli scienziati del Center for Whale Research. Il suo è stato un vero e proprio record, dato che normalmente le femmine di cetaceo colpite da lutti analoghi trascinano i propri figli per molto meno tempo.
A cura di Andrea Centini
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Dopo 17 giorni di lutto, l'orca Tahlequah (o J35) ha lasciato andare il suo cucciolo morto ed è tornata a caccia di salmoni assieme al branco. La sua triste storia, che ha fatto commuovere il mondo intero, era iniziata lo scorso 24 luglio, quando un gruppo di biologi marini del Center for Whale Research che studia le orche residenti meridionali (Southern Resident killer whale) l'ha avvistata mentre sosteneva la carcassa del suo piccolo, che si presume sia morto appena mezzora dopo il parto, lo stesso giorno in cui è stato visto la prima volta.

Credit: Michael Weiss, Center for Whale Research
Credit: Michael Weiss, Center for Whale Research

Quello di Tahlequah, che vive in un branco di 75 orche nelle acque tra Seattle e Vancouver, per gli scienziati è stato un vero e proprio record, dato che un simile comportamento luttuoso normalmente dura molto meno, con picchi registrati di circa una settimana. Per noi esseri umani è molto semplice immedesimarci nel dolore di questa orca di 20 anni, che apparentemente non si è arresa alla perdita del figlio, provando in ogni modo a tenerlo in vita. Fortunatamente, spiegano i ricercatori Center for Whale Research, alla fine si è decisa a lasciare al suo destino la carcassa del cucciolo; sabato 11 agosto è stata vista andare a caccia di salmoni Chinook assieme agli altri membri del pod. Dai rilievi non ha evidenziato ferite o segni provocati dal peso sostenuto sulla testa per i lunghi 17 giorni, ma soprattutto, è risultata energica e determinata nel dare la caccia alle sue prede naturali.

Ma perché provava a tenere il cucciolo oltre la superficie dell'acqua? Poiché i mammiferi marini per respirare sfruttano l'ossigeno presente nell'aria, tra i primi gesti compiuti dalle madri dopo il parto vi è proprio quello di sostenere e sospingere i piccoli con la testa, per portarli oltre la superficie dell'acqua e fargli prendere le prime ‘boccate' d'aria (i cetacei respirano dallo sfiatatoio). La respirazione in questi animali è infatti un atto volontario, e i neonati debbono prendere rapidamente confidenza con questa pratica che li accompagnerà per tutta la vita. Quando i piccoli nascono morti o comunque perdono la vita poco dopo il parto, non è inconsueto vedere le madri mentre provano disperatamente a trattenerli in superficie, come avvenuto con un tursiope (Tursiops truncatus) filmato in Grecia dai ricercatori dell'istituto di ricerca italiano Tethys.

Non è chiaro se le orche si rendano conto o meno della morte dei piccoli, ma il loro gesto disperato è ammantato da grande umanità, sottolineando ancora una volta la notevole intelligenza che le caratterizza. La storia di Tahlequah e del suo piccolo ha acceso i riflettori sulla drammatica situazione delle orche residenti meridionali, denutrite e a rischio estinzione a causa della scarsità di salmone (razziato dalla pesca intensiva) e dell'eccessivo traffico marittimo, che per via del rumore impedisce loro di utilizzare correttamente l'ecolocalizzazione. Non a caso tutte le piccole orche date alla luce negli ultimi tre anni in questa popolazione sono nate morte o sono decedute poco dopo il parto, mentre negli ultimi 20 anni ne è sopravvissuto appena un terzo. Soltanto noi possiamo aiutare le orche residenti meridionali a tornare floride e fertili, attuando politiche ambientali in grado di allontanare tragedie come quella vissuta da Tahlequah.

[Credit: Michael Weiss, Center for Whale Research]

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