L’OMS si aspetta un’ondata di pazienti con “Long COVID”: quali sono i rischi
Alla data odierna, sabato 13 febbraio 2021, in base alla mappa interattiva dell'Università Johns Hopkins dall'inizio della pandemia di COVID-19 risultano oltre 108 milioni di contagi e circa 2,4 milioni di vittime (in Italia si registrano 2,7 milioni di infezioni complessive e 93mila decessi). Questi numeri secondo gli esperti sono ampiamente sottostimati, perlomeno per quel che concerne le infezioni, poiché nella stragrande maggioranza dei casi chi contrae il virus sviluppa un'infezione asintomatica o paucisintomatica (con sintomi lievi), pertanto può sfuggire alle maglie dei controlli. In parole semplici, nel mondo ci sarebbero molte più persone entrate in contatto col coronavirus SARS-CoV-2 di quelle indicate dalle statistiche ufficiali. Tra i moltissimi casi diagnosticati e non, potrebbe emergere una vera e propria ondata di “Long COVID”, una condizione conosciuta anche come “sindrome post-COVID-19” o “postumi della COVID-19 a lungo termine” caratterizzata da sintomi più o meno debilitanti possono perdurare per diversi mesi dopo il superamento della fase acuta dell'infezione.
A lanciare l'allarme su questo rischio il direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, il biologo, immunologo e politico etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus. Lo scienziato, durante un briefing online tenutosi venerdì 12 febbraio, ha dichiarato che l'OMS sta organizzando una serie di incontri tra medici, pazienti, virologi ed esperti di malattie infettive per definire meglio i "confini clinici" della Long COVID, e mettere a punto linee guida concordate per trattarla. Di questa sindrome, del resto, si parla ormai da diversi mesi, ma non è ancora stata inquadrata perfettamente dagli specialisti. Il dubbio, infatti, è che non si tratti di una condizione specificatamente connessa al coronavirus SARS-CoV-2, ma che si tratti di una risposta generale del nostro organismo a un'infezione virale. “Questa malattia colpisce i pazienti con Covid-19 sia grave che lieve. Parte della sfida è legata al fatto che i pazienti con Long COVID potrebbero avere una serie di sintomi diversi che possono essere persistenti o che possono andare e venire”, ha dichiarato il dottor Ghebreyesus durante la conferenza stampa tenutasi a Ginevra.
In base agli studi clinici condotti sino ad oggi, i sintomi più caratteristici della sindrome post-COVID-19 registrati nei pazienti sono debolezza, fatica cronica, astenia, dolori muscolari e disturbi cognitivi come la cosiddetta “nebbia cerebrale”, che può alterare la memoria a breve termine, determinare confusione e rendere più complicato concentrarsi. Non mancano difficoltà respiratorie, ansia, inappetenza e altro ancora. In base ai risultati dello studio “Characterizing Long COVID in an International Cohort: 7 Months of Symptoms and Their Impact” condotto da scienziati dello University College London e pubblicato sul database online MedRxiv, è emerso che ben il 96 percento di chi era stato contagiato dal coronavirus aveva almeno un sintomo a 3 mesi di distanza. A oltre 6 mesi dal contagio, inoltre, l'80 percento ha dichiarato di sentirsi affaticato, il 70 percento di provare malessere dopo uno sforzo e il 55 percento di sperimentare disfunzioni cognitive. A causa di questa condizione debilitante, la metà dei pazienti ha dovuto chiedere al proprio datore di lavoro una riduzione degli orari, mentre più di 1/5 dei partecipanti non è più tornato al proprio impiego. Considerando i numeri della pandemia, i posti di lavoro che rischiano di andare perduti a causa della Long COVID potrebbero essere tantissimi, con un impatto economico e sociale a lungo termine devastante. Senza dimenticare che nei pazienti che hanno superato un'infezione grave possono persistere significative difficoltà respiratorie e danni a livello polmonare.
“Non sappiamo davvero cosa stia causando questi sintomi. Questo è uno degli obiettivi principali della ricerca in questo momento”, ha dichiarato la professoressa Allison Navis, docente della Icahn School of Medicine at Monte Sinai, durante una conferenza online della Infectious Diseases Society of America. “Ci chiediamo se si tratti di qualcosa di specifico per la COVID stessa – e dunque se sia il coronavirus a innescare questi sintomi – o se la condizione possa essere parte di una sindrome post-virale generale”, ha aggiunto la professoressa Navis, specificando che sintomi analoghi sono stati osservati dai medici anche in pazienti colpiti da altre infezioni virali. Per far fronte a questo numero enorme di pazienti bisognosi di assistenza medica a mesi di distanza dalla fase acuta, diversi grandi centri medici – come la Scuola di Medicina Icahn – stanno organizzando delle vere e proprie cliniche dedicate. La professoressa Allison ha specificato che l'età media dei pazienti ospitati presso la struttura in cui lavora è di circa di 40 anni. Il direttore generale dell'OMS ha sottolineato l'importanza di mettere a punto una “descrizione clinica concordata” sulla Long COVID, per trattare nel miglior modo possibile tutti coloro che ne avranno bisogno.