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Lo “tsunami” che devastò Ginevra

Uno studio pubblicato da Nature ricostruisce le dinamiche di un cataclisma che travolse la città svizzera nel 563 d. C.
A cura di Nadia Vitali
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tsunami ginevra

Un evento verificatosi quasi 1500 anni fa, un'ondata che travolse l'antica città di Ginevra e che oggi, non del tutto propriamente, chiameremmo tsunami: alcuni esperti si sono dedicati alla ricostruzione della dinamica di quel disastro attestato da alcune testimonianze dirette. Attraverso l'analisi della composizione dei sedimenti del fondo del lago su cui si affaccia la città svizzera, effettuata grazie ad una nave munita di uno strumento simile ad un sonar ma che sfrutta le onde sismiche, gli scienziati hanno rilevato la presenza di uno strato, in tutto e per tutto differente dagli altri, che sembrerebbe essersi depositato in un singolo evento. Esami più approfonditi, hanno rilevato che tali materiali risalirebbero ad un periodo di tempo compreso tre il 381 e il 612 d. C.: proprio in quell'arco di tempo si verificò l'episodio di Tauredunum.

Nel 563 d. C., ad un secolo di distanza dalla rovina dell'Impero che aveva dominato il mondo, la città di Ginevra era nell'orbita del Regno Burgundo di cui era stata anche centro di primaria importanza, soprattutto nei decenni precedenti: fu in quell'anno che venne travolta da una devastante onda anomala di cui riportano le cronache dell'epoca. Il porto venne distrutto, villaggi e sobborghi furono spazzati via e, naturalmente, morirono persone e bestiame: una frana caduta dal monte Tauredunum, sul versante orientale del lago opposto alla cittadina, laddove il fiume Rodano esce dal Lac Léman, alzò un muro d'acqua e fango che, secondo i resoconti storici, avrebbe superato l'altezza di dieci metri, travolgendo violentemente uomini, animali, abitazioni ed infrastrutture. Fonti principali dei fatti narrati furono Gregorio di Tours (538-594) e San Mario di Avenches (532-596): le incongruenze riscontrate nell'Historia del primo, sono chiarite dalla Chronica del secondo che fa propendere per l'identificazione del Tauredunum con il Grammont.

tsunami oceano indiano

L'episodio della frana di Tauredunum fu senza dubbio un evento catastrofico; quello che, al giorno d'oggi, dopo aver familiarizzato con questa parola in seguito ai tragici avvenimenti del dicembre 2004 dell'Oceano Indiano, abbiamo imparato a chiamare tsunami: così per il Cile, nel 2010, e per il Giappone nel 2011. Fenomeni che hanno riportato sotto l'attenzione degli scienziati il rischio legato ai grandi terremoti e ai maremoti che, in particolari condizioni, possono essere originati da questi. Ma, come spiegano Katrina Kremer, Guy Simpson e Stéphanie Girardclos dell'Università di Ginevra in una lettera inviata a Nature Geoscience, tale pericolo non è del tutto assente neanche in territori non soggetti a frequenti fenomeni sismici e, magari, senza alcuno sbocco del mare: e, a testimonianza di ciò, basterebbe ricordare il ben più vicino nel tempo disastro italiano del Vajont  (per quanto siano note, in quel caso specifico, le problematicità legate alla mano dell'uomo).

I ricercatori non hanno individuato la causa originaria della frana, sebbene sottolineino come nulla lasci pensare all'ipotesi di un precedente terremoto; tuttavia, propongono come possibilità che le rocce cadute abbiano originato il collasso proprio in quel punto in cui il fiume fuoriesce dal lago. Lì, i sedimenti accumulati dal flusso della corrente sarebbero stati trascinati dall'onda di fango,divenuta quindi violentissima, fino al centro del lago dove sono stati individuati dalle apparecchiature radar dei ricercatori in un deposito che copriva un'area ampia circa cinquanta chilometri per un'altezza di cinque metri. Come spesso si osserva dopo tragedie di questo tipo, dunque, l'accumulo di materiali è alla radice della gran parte delle conseguenze disastrose: un fenomeno sempre in atto in quel punto del Rodano così come altrove, reso ancor più grave da elementi di recente introduzione quali il disboscamento e, in generale, l'impatto antropico. «Certamente era già accaduto in precedenza e possiamo aspettarci che, prima o poi, si verifichi nuovamente» ha osservato il geologo Guy Simpson sottolineando, dunque, l'importanza della prevenzione di eventi del genere attuabile anche, e soprattutto, attraverso la ricerca.

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