L’Italia alla conquista della Luna, Masi: “Perché è così importante tornare sul satellite”
Lo scorso 25 settembre l'Italia ha sottoscritto uno storico accordo bilaterale con la NASA per una maggiore cooperazione spaziale, con particolare riferimento al programma Artemis, quello che porterà “la prima donna e il prossimo uomo” sulla Luna. Al momento i dettagli dell'accordo – chiamato Joint Statement for Cooperation in Space Exploration – firmato dal capo della NASA Jim Bridenstine, dal presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) Giorgio Saccoccia e dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle politiche spaziali Riccardo Fraccaro sono ancora da definire; ciò nonostante è già emerso che il nostro Paese darà un prezioso contributo per la progettazione-costruzione di moduli abitativi, per la navetta di allunaggio e probabilmente per i sistemi di telecomunicazione. Poiché a commento della firma Brindestine ha dichiarato che la NASA è “ansiosa di affrontare una nuova era di collaborazione insieme agli astronauti italiani”, e poiché il programma Artemis prevede la costruzione di una base lunare mettendo in scena una vera propria spola con la Terra, è indubbio che alla luce dell'accordo anche donne e uomini del Bel Paese avranno la possibilità di solcare la regolite lunare. Non nel “primo” sbarco, previsto al momento per il 2024 e che avrà come protagonisti astronauti americani, ma per i successivi ci sarà sicuramente occasione. Vista la portata storica dell'accordo, abbiamo chiesto un commento all’astrofisico Gianluca Masi, responsabile scientifico del Virtual Telescope Project. Ecco cosa ci ha raccontato.
Dottor Masi, lo sbarco dei primi astronauti italiani sulla Luna sarà un evento storico per il nostro Paese, cosa ne pensa?
I nostri astronauti ormai non sono secondi a nessuno. Sono astronauti di straordinario livello professionale che vediamo da lungo tempo coinvolti nelle missioni spaziali. Non vorrei fare torto a nessuno, ma penso a Samantha Cristoforetti, a Luca Parmitano, con cui per altro ho anche avuto modo di lavorare insieme. Non so quali siano i protocolli e i criteri di selezione, ma certamente vedere coinvolti astronauti come loro mi renderebbe orgoglioso due volte. Primo perché appunto sono italiani, e secondo perché senza dubbio metterebbero a disposizione di quell'importante progetto tutta la preziosissima esperienza che hanno già maturato nel corso della loro attività sulla Stazione Spaziale Internazionale. Sarei felice di vederli lassù anche per la loro carica di umanità che abbiamo tutti apprezzato, e per la vocazione a condividere ciò che hanno vissuto nello spazio. Questo sarebbe anche per noi curiosi un valore aggiunto indiscutibile. A me interessa molto il fatto che al centro della missione Artemis, che evidentemente richiama un grande sforzo collettivo, vi sono obiettivi lungimiranti e importanti. È più che giusto immaginare una cooperazione internazionale, e in prima linea ci sarà l'Italia con la firma di questo accordo.
Perché la NASA avrebbe scelto proprio l'Italia?
L'Italia – e questo lo dico con orgoglio – ha dato testimonianza di grande professionalità e di notevole know-how tecnologico e scientifico in infinite occasioni. La stessa Stazione Spaziale Internazionale è un emblema di questa nostra capacità. Mi viene semplice pensare all'Italia come a un Paese in grado di contribuire in modo sostanziale alla missione. L'accordo di cui stiamo parlando a mio parere ne è la dimostrazione. L'Italia ha tutte le carte in regola per fare da attore primario in questo contesto. Ha dimostrato ciò che sa fare e lo dimostra di continuo, un dato di fatto incontestabile.
La Luna sarà dunque di nuovo protagonista, a più di 50 anni dalle missioni Apollo
Ne stiamo parlando all'indomani della Notte Internazionale della Luna, altra importante iniziativa patrocinata e lanciata in modo essenziale dalla NASA, che ribadisce il valore culturale centrato sulla Luna. Perché accanto alla conoscenza scientifica e ai grandi benefici che verranno da una missione così importante come Artemis, la Luna è anche molto di più. I non addetti ai lavori la conosceranno più come presenza estetica nel cielo, come elemento prezioso che ha ispirato tanta arte. Trovo suggestivo che si sia sovrapposto questo accordo proprio con la Notte Internazionale della Luna, che dà grande spazio anche allo sforzo conoscitivo, alle missioni spaziali passate. Ne abbiamo parlato a lungo soprattutto lo scorso anno con i 50 anni dell'Apollo 11. Poi in effetti c'è stato un lungo silenzio dal punto dei voli umani, finiti con l'Apollo 17. Abbiamo vissuto un grande momento tra la fine degli anni '60 e i primi anni '70 con le leggendarie missioni Apollo, fino appunto alla 17, con particolare attenzione alla 11 che portò per la prima volta i rappresentanti del genere umano a fare “due passi” sulla Luna. L'esplorazione successiva è stato esclusivamente affidata a sonde automatiche, che hanno continuato a studiare il satellite. Molti non addetti ai lavori hanno la sensazione che dopo l'Apollo 17 sia finita l'esplorazione lunare, ma neanche per sogno. Ci sono state numerose sonde che hanno approcciato la Luna e l'hanno studiata in dettaglio, hanno ottenuto immagini profonde, hanno analizzato il nostro satellite anche per approfondire aspetti e tematiche che potessero essere propedeutici per un ritorno. E Artemis si pone esattamente su questa linea: il suo motto infatti è quello di portare la prima donna sulla Luna e il prossimo uomo.
Cosa ci porterà questa nuova missione sulla Luna?
Come astrofisico io penso sempre che affondare nello spazio, e in questo caso pur limitatamente alla Luna, che è dietro l'angolo, è pur sempre importante sia dal punto di vista culturale che da un punto di vista tecnologico-scientifico. Tornare sulla Luna con le tecnologie e gli strumenti di oggi, e poter eseguire gli esperimenti in situ grazie agli astronauti, non oso immaginare a quanti benefici conoscitivi e scientifici ci porterà. Allo stesso tempo, mi aspetto anche di più anche sul piano dello sviluppo tecnologico e del ritorno che avremo tutti noi. È un aspetto a mio parere molto spesso trascurato. Spesso mi pongono questa domanda: “Ma dopo tutto, abbiamo così tanti problemi sulla Terra, cosa ci portano queste missioni?”. La maggior parte delle persone non si accorge che molto di ciò che rende la loro vita migliore oggigiorno, le tecnologie che hanno in tasca come il telefonino, sono diretta conseguenza di quello che ha impegnato gli ingegneri al tempo delle missioni passate, per raggiungere quel traguardo. E questo vale in campo tecnologico, in campo aeronautico e anche in campo medico. Nulla va sprecato. Quando si deve fare un passo più lungo del solito, scrivere una pagina inedita della nostra conoscenza, è chiaro che per farlo è richiesto uno sforzo collettivo, che comunque lascia come “effetto collaterale” un valore aggiunto per tutti. Questo è innegabile, e trascurarlo significa anche perdere una parte essenziale dello spirito e del perché si fanno queste cose. Senza dubbio c'è anche la vocazione naturale dell'uomo a primeggiare, questa fu sicuramente una delle spinte più potenti al tempo delle missioni Apollo, con il grande antagonismo tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione Sovietica di allora. Ma la conoscenza e il benessere collettivo che ne derivano secondo me sono elementi preziosissimi. Io personalmente sarò contentissimo di vedere finalmente realizzarsi questo ritorno alla Luna, che va certamente anche visto in chiave propedeutica per il passo successivo – incredibilmente più impegnativo – dell'arrivo dell'uomo su Marte. Noi ormai abbiamo confidenza con la Stazione Spaziale Internazionale, dove si compiono esperimenti preziosissimi anche in vista di questi sforzi successivi. L'uomo pensa sempre in prospettiva; queste missioni complesse vengono sempre immaginate con una eredità che alla bisogna servirà per il passo successivo. A mio parere è più che legittimo spingersi oltre con l'esperienza dell'uomo di oggi, che è ben diversa da quella dell'uomo degli anni '60. Chi arriverà sulla Luna con Artemis porterà con sé sicuramente le stesse emozioni di Armstrong, Aldrin e degli altri – in tutto una dozzina – che sono stati là, ma saranno comunque donne e uomini del XXI secolo, e questo secondo me sarà importante anche dal punto di vista culturale.