L’efficacia del vaccino Covid di Pfizer cala dopo alcuni mesi: lo dimostra uno studio israeliano
Nel momento in cui stiamo scrivendo, in base alla mappa delle vaccinazioni di “Our World in Data”, in Israele sono state somministrate 13,5 milioni di dosi di vaccino anti Covid, con 5,47 milioni di persone completamente protette, pari al 60,5 percento della popolazione totale. Il Paese mediorientale è stato uno dei più virtuosi in assoluto nella gestione della campagna vaccinale; basti pensare che all'inizio di marzo oltre il 50 percento degli adulti era stato immunizzato. Questa celerità, di concerto col duro lockdown imposto in precedenza dal governo, ha abbattuto il tasso dei contagi in primavera, tuttavia a partire da metà giugno/inizio luglio risultano in rapido e drammatico aumento. Basti pensare che il massimo storico è stato raggiunto martedì 24 agosto con ben 12.113 casi, che ha superato il precedente picco di gennaio pari a 11.934 infezioni. Attualmente in Israele si registrano circa mille nuove infezioni ogni milione di abitanti, contro le 450 negli Stati Uniti, che pure stanno vivendo una nuova drammatica ondata di contagi.
Per arginare il dilagare di nuove infezioni e scongiurare il rischio di nuovi lockdown, il governo israeliano ha deciso di sottoporre la popolazione alla terza dose di vaccino (un ulteriore richiamo, in pratica), inoltre negli ultimi giorni ha deciso di coinvolgere in questa strategia tutti gli over 30. A preoccupare gli esperti sono anche i dati relativi ai ricoverati in ospedale per Covid nonostante la doppia vaccinazione; in base agli ultimi bollettini sono circa il 60 percento del totale, sebbene uno statistico abbia spiegato bene la ragione di una proporzione apparentemente esagerata. A far impennare le curve epidemiologiche in Israele vi è la diffusione della variante Delta, nota per la resistenza superiore agli anticorpi neutralizzanti e per la notevole trasmissibilità rispetto alla variante Alfa, che aveva guidato i contagi lo scorso inverno. Come mostra un nuovo studio condotto proprio in Israele, le infezioni rivoluzionarie – cioè quelle che colpiscono i vaccinati – sarebbero legate a una diminuzione dell'efficacia immunitaria del vaccino anti Covid di Pfizer, sul quale è stata basata l'intera campagna vaccinale in Israele.
A determinarlo è stato un team di ricerca guidato da scienziati del Technion – Israel Institute of Technology, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della The Hebrew University of Jerusalem, del Weizmann Institute of Science, del Ministero della Salute, dello Sheba Medical Center, dell'Università di Tel Aviv e dell'Università Ben Gurion. Gli scienziati, coordinati dal professor Yair Goldberg, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver messo a confronto le infezioni e i ricoveri in ospedale tra l'11 e il 31 luglio 2021 di persone completamente con quelli registrati in periodo precedenti. In parole semplici, è stato dimostrato che più tempo trascorreva dal completamento della vaccinazione e maggiore era il rischio di ricovero in ospedale per Covid, proprio a causa della riduzione dell'efficacia del vaccino dopo alcuni mesi. “Il tasso di infezioni da SARS-CoV-2 e di casi di COVID-19 grave documentati mostra un chiaro aumento in funzione del tempo trascorso dalla vaccinazione”, scrivono i ricercatori nell'abstract dello studio. “Ad esempio – aggiungono Goldberg e colleghi – le persone di età pari o superiore a 60 anni completamente vaccinate a marzo 2021 erano 1,6 volte più protette contro l'infezione ed erano 1,7 volte più protette contro la COVID-19 grave rispetto a coloro che si erano completamente vaccinate nel gennaio 2021”. I ricercatori hanno trovato risultati simili anche nei gruppi di età inferiori, tra i 16 e i 39 anni e i 40 e i 59 anni, come dimostrano i grafici sottostanti.
Nello studio sono stati coinvolti i dati di quasi 5 milioni di israeliani, fra i quali in poco meno di 13mila sono risultati positivi al tampone e in 348 sono peggiorati a tal punto da essere ricoverati in ospedale con la forma grave dell'infezione. In base all'indagine statistica è emerso che tra le persone con 60 anni o più completamente vaccinate nella seconda metà di gennaio, il tasso di infezioni è risultato essere di 3,2 casi per 1.000 persone, rispetto a 2,1 e 1,6 per chi era stato rispettivamente vaccinato nella seconda metà di febbraio e marzo, con risultati analoghi osservati in altre fasce di età. Per quanto concerne la COVID-19 grave, il tasso di casi per chi aveva età pari o superiore a 60 anni a gennaio era di 0,29 per 1000 persone ed è risultato ridotto a 0,23, 0,15 e 0,10 per coloro che erano stati completamente vaccinati rispettivamente a febbraio, marzo e aprile-maggio. Tutti questi dati evidenziano una progressiva riduzione nella protezione immunitaria del vaccino mese dopo mese, ed è per questo che gli autori dello studio raccomandano di quantificare con precisione qual è il calo dell'efficacia dei vaccini per approntare una valida strategia con i richiami, a partire dalla terza dose. I dettagli della ricerca “Waning immunity of the BNT162b2 vaccine: A nationwide study from Israel” sono stati pubblicati su un sito governativo israeliano.