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Covid 19

Le varianti del coronavirus possono sorgere in pazienti con un sistema immunitario debole

Secondo virologi e immunologi le varianti del coronavirus SARS-CoV-2 sono emerse (e possono continuare a farlo) in pazienti con un sistema immunitario compromesso. Nel loro organismo, infatti, il patogeno può persistere per diversi mesi, continuando a replicarsi e ad accumulare modifiche genetiche potenzialmente pericolose.
A cura di Andrea Centini
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Particelle virali del coronavirus (in giallo). Credit: NIAID
Particelle virali del coronavirus (in giallo). Credit: NIAID
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Come un qualsiasi altro virus, anche il coronavirus SARS-CoV-2 responsabile della pandemia che stiamo vivendo accumula mutazioni casuali, che talvolta possono affermarsi e garantirgli un vantaggio evolutivo. È attraverso questo meccanismo che nascono le varianti mutate, che divergono dal ceppo/lignaggio originale di Wuhan, dove la pandemia di COVID-19 ha avuto inizio. Grazie a queste modifiche genetiche, ad esempio, il virus può diventare più trasmissibile e dunque diffondersi con maggiore facilità nella popolazione – come avviene con la variante inglese -, oppure può sviluppare una resistenza ai vaccini anti COVID o agli anticorpi prodotti da un'infezione naturale precedente. Questo sembrerebbe essere il caso delle varianti sudafricana e brasiliana, che preoccupano di più gli esperti proprio per la capacità elusiva riscontrata in alcuni trial clinici e nei dati della città di Manaus, in Brasile, dove si sta assistendo a un'ondata di reinfezioni. Secondo gli scienziati, le varianti mutate del coronavirus hanno maggiore probabilità di emergere in persone che hanno un sistema immunitario compromesso.

Come spiegato al New York Times dal professor Ravindra Gupta, virologo di fama internazionale dell'Università di Cambridge e autore di numerosi articoli sul SARS-CoV-2, il patogeno a un certo punto deve aver infettato qualcuno con un sistema immunitario debole, dove è sopravvissuto per mesi e ha avuto tutto il tempo per replicarsi, accumulare mutazioni e dar vita a varianti mutate, poi diffuse nella comunità. “Sembra essere la spiegazione più probabile”, ha spiegato l'esperto. Del resto, normalmente, in una persona con un sistema immunitario efficiente la durata dell'infezione risulta essere di circa una settimana, e il tempo è troppo ridotto per permettere al virus di accumulare mutazioni significative, tali da permettergli vantaggi evolutivi come quelli sopraindicati. Il virus muta di continuo, ma nella stragrande maggioranza dei casi sviluppa modifiche genetiche insignificanti. In una persona con un sistema immunitario compromesso, tuttavia, il virus si può annidare per mesi, mettendo insieme una combinazione di mutazioni potenzialmente problematiche. Secondo lo studio “Persistence and Evolution of SARS-CoV-2 in an Immunocompromised Host” pubblicato sulla rivista scientifica The New England Journal of Medicine, la più autorevole in campo medico, in un uomo di 45 anni affetto da una grave sindrome antifosfolipidica e sistema immunitario compromesso il virus è stato rilevabile per oltre otto mesi.

“Se osserviamo diversi momenti nell'arco temporale dell'infezione, e guardiamo la popolazione di virus in quel paziente, vediamo – ogni volta – diverse varianti che saltano fuori con un grande tasso di turnover”, ha dichiarato al New York Times il professor Vincent Munster, virologo del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) guidato da Anthony Fauci. Se una di queste varianti sviluppate nel corso degli otto mesi fosse stata trasmessa a un operatore sanitario, a un altro paziente o a un familiare e fosse arrivata nella comunità, sarebbe risultata "spuntata dal nulla" come osservato con le varianti inglese, sudafricana e brasiliana, che presentano diverse mutazioni (talvolta condivise, ma evolutesi separatamente). Secondo gli esperti vi sono numerose patologie che possono indebolire il sistema immunitario garantendo al virus una maggiore sopravvivenza e capacità di mutare. Si spazia dal diabete al cancro, passando anche per l'artrite reumatoide. Anche l'anzianità può giocare un ruolo.

Alla luce di questi rischi da non sottovalutare, gli scienziati sottolineano l'importanza di proteggere e vaccinare prioritariamente le persone con sistema immunitario debole, proprio per impedire al coronavirus SARS-CoV-2 di approfittarne in caso di contagio. Ma non va dimenticato che le persone immunocompromesse sono anche quelle che possono non ottenere alcun beneficio dal vaccino, proprio per via della loro condizione, pertanto potrebbero essere necessari trattamenti a base di anticorpi monoclonali, considerati una delle terapie più efficaci nel prevenire la mortalità da COVID-19.

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