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Covid 19

Lacrime e secrezioni degli occhi potrebbero diffondere il coronavirus, secondo una ricerca italiana

Ricercatori italiani dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive (INMI) “Lazzaro Spallanzani” IRCCS di Roma, seguendo il caso di una paziente cinese di 65 anni ricoverata presso il nosocomio, hanno determinato che la COVID-19 possa essere diffusa attraverso i fluidi oculari prodotti dalla congiuntivite. Si tratta di uno dei possibili sintomi dell’infezione da coronavirus SARS-CoV-2.
A cura di Andrea Centini
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Credit: uroburos
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I fluidi oculari dei pazienti affetti da COVID-19, l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2, potrebbero contenere una carica virale sufficiente a determinare il contagio. Pertanto queste secrezioni dovrebbero essere considerate un potenziale fattore di rischio nella diffusione della malattia, anche se le goccioline espulse da bocca e naso (il droplet) quando tossiamo, starnutiamo o semplicemente tossiamo rappresentano sempre la fonte di trasmissione principale.

A determinare questo potenziale fattore di rischio è stato un team di ricerca italiano composto da scienziati dell'Istituto Nazionale Malattie Infettive (INMI) “Lazzaro Spallanzani” IRCCS di Roma, che ha redatto un “case report” basato su una paziente cinese di 65 anni ricoverata presso il nosocomio laziale dallo scorso 29 gennaio. La donna era giunta in Italia il 23 gennaio da Wuhan, metropoli di 11 milioni di abitanti dalla quale l'epidemia di coronavirus si è diffusa nel resto del mondo diventando pandemia, ed è stata ricoverata appena 6 giorni dopo, a 24 ore di distanza dalla comparsa dei primi sintomi.

Quando è stata ammessa in ospedale, i medici e i ricercatori italiani guidati da Francesca Colavita e Daniele Lapa hanno rilevato tosse secca non produttiva, mal di gola, irritazione della mucosa nasale (corizza) e congiuntivite bilaterale. La donna ha sviluppato febbre a 38° C, vomito e nausea al quarto giorno di ricovero. I campioni biologici estratti attraverso tampone rino-faringeo e sottoposti al test di reazione a catena della polimerasi a trascrizione inversa in tempo reale (RT-PCR) hanno confermato la diagnosi di COVID-19.

Poiché l’infiammazione della congiuntiva – la membrana trasparente che permea la sclera (la porzione bianca degli occhi) e la superficie interna delle palpebre – risultava persistente, i ricercatori hanno deciso di sottoporre al test anche campioni di fluidi oculari. La congiuntivite, infatti, oltre alla sensazione bruciore, di corpo estraneo negli occhi, arrossamento e gonfiore, determina abbondante lacrimazione e secrezione di fluidi che tendono a far “appiccicare” gli occhi. Dalle analisi di laboratorio sono risultati anch'essi positivi all'RNA virale del SARS-CoV-2, e lo sono stati per 3 settimane consecutive. La congiuntivite è migliorata dopo 15 giorni “e apparentemente si è risolta al giorno 20”, hanno scritto i ricercatori nel case report pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Internal Medicine.

Dopo cinque giorni di negatività, tuttavia, l'RNA virale è stato nuovamente rilevato nei fluidi oculari della donna. Per determinare se la carica virale fosse rappresentasse il virus infettivo, i ricercatori hanno inoculato in cellule Vero E6 il primo campione oculare positivo all'RNA, osservando un effetto citopatico cinque giorni dopo l'inoculo. Questi risultati suggeriscono dunque che i fluidi oculari possano rappresentare un potenziale fattore di rischio per la diffusione della malattia, in particolar modo per gli oftalmologi che seguono i propri pazienti, per questo gli autori della ricerca raccomandano caldamente l'uso di dispositivi di protezione individuale (DPI). In precedenza scienziati cinesi dell’Università di Zhejiang e del Primo Ospedale Affiliato di Hangzhou avevano rilevato la presenza del coronavirus anche nelle lacrime e nelle secrezioni congiuntivali di un paziente con congiuntivite.

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