Le mutazioni frequenti del coronavirus possono favorirne la diffusione
Il tasso di mutazione del nuovo coronavirus SARS-CoV-2 sembra essere piuttosto elevato a livello delle proteine chiave, quelle che permettono al patogeno di aggredire le cellule umane, di “scardinare” le misure di sicurezza e avviare il processo di replicazione al loro interno. Questa caratteristica ne favorirebbe la rapida diffusione, come dimostrano i dati sui contagi e sulle vittime (rispettivamente 558mila e 25mila, nel momento in cui stiamo scrivendo) visibili sulla mappa interattiva messa a punto dagli scienziati dell'università americana Johns Hopkins. Conoscere il tasso di mutazione di queste proteine è un'informazione molto preziosa poiché i farmaci e i vaccini in sviluppo contro il patogeno emerso in Cina alla fine del 2019 (tra il 20 e il 25 novembre, secondo uno studio italiano) si basano proprio sul colpire il legame tra queste strutture e il recettore sulle cellule umane.
A determinare l'elevata frequenza di questa manciata di mutazioni è stato il professor Changchuan Yin, docente presso il Dipartimento di Matematica, Statistica e Informatica presso l'Università dell'Illinois a Chicago (Stati Uniti). Lo studioso è giunto alle sue conclusioni dopo aver analizzato attraverso un sofisticato modello matematico ben 442 sequenze genetiche del coronavirus, disponibili per tutti gli scienziati presso la banca dati genetica internazionale GISAID (Global Initiative on Sharing All Influenza Data). Yin ha specificato che si tratta di poche mutazioni ma molto frequenti nel genoma del SARS-CoV-2, un virus a RNA con 30mila “lettere”. Proprio questa caratteristica potrebbe essere associata “a cambiamenti nella trasmissibilità e nella virulenza”, e potrebbero giocare un ruolo anche sul devastante impatto che il coronavirus sta avendo in Europa (e ora anche negli Stati Uniti).
Le mutazioni rilevate dallo scienziato riguardano la proteina S, quella delle “spike” o spicole che permettono di legarsi alle cellule umane e di penetrare al loro interno, e quelle di tre proteine coinvolte nella replicazione del virus, chiamate polimerasi, primasi e nucleoproteina. In precedenza il professor Giuseppe Novelli, genetista di fama internazionale ed ex rettore dell'Università Tor Vergata di Roma, aveva dichiarato che il tasso di mutazione del SARS-CoV-2 da studi preliminari appariva molto più veloce rispetto a quello della SARS, poiché sembrava cambiare una lettera ogni 1.000 dopo ogni replicazione, invece che una ogni 10mila come il patogeno cugino. Ora arriva la conferma di questo tasso di mutazione accelerato, che potrebbe rappresentare un problema nel contrasto alla COVID-19. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati su ArXiv, in attesa della pubblicazione su una rivista scientifica.