Le microplastiche sono entrate (anche) nella catena alimentare dell’Antartide: le prime prove
Come dimostrato da innumerevoli studi, l'inquinamento da microplastiche è ormai ubiquitario, avendo raggiunto anche le aree più remote del pianeta grazie alle correnti e agli agenti atmosferici. Basti pensare che frammenti sono stati rinvenuti anche nella celebre Fossa delle Marianne, l'abisso oceanico più profondo, a circa 11 chilometri sotto il livello del mare. Ora è stato raggiunto un nuovo, preoccupante "record". Per la prima volta, infatti, è stata documentata la presenza di microplastiche nella catena alimentare dell'Antartide, con tutto ciò che potrebbe conseguirne in termini ecologici.
A dimostrare la contaminazione è stato un team di ricerca italiano guidato da scienziati dell'Università di Siena, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del SISSI-Chemical and Life Science presso l'Elettra-Sincrotrone di Trieste e della Scuola di Biologia e Scienze Ambientali dell'Università di Dublino (Irlanda). Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Elisa Bergami, docente presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, Terrestri e Ambientali dell'ateneo toscano, hanno fatto questa scoperta dopo aver analizzato il contenuto nell'apparato digerente di un collembolo, un piccolo invertebrato simile a un insetto (di 1-2 millimetri) appartenente alla classe degli Entognati.
Durante una spedizione sulla penisola di Fildes sita sull'Isola di Re Giorgio (King George Island), la più grande delle Shetland Meridionali, gli scienziati italiani si sono imbattuti in un grosso pezzo di polistirolo (schiuma di polistirene) di 34 × 31 × 5 centimetri, completamente coperto da microalghe, licheni, muschio e fauna microscopica, tra i quali appunto i collemboli. Dopo aver raccolto il campione, attraverso la microscopia a infrarossi sono andati a osservare cosa vi fosse nel tratto digerente in questi invertebrati, e hanno trovato frammenti di polistirene – meno di 100 micrometri – nell'intestino di vari esemplari di Cryptopygus antarcticus. In pratica, i collemboli avevano iniziato a mangiare il polistirolo.
A causa delle condizioni estreme, in Antartide ci sono pochissime aree terrestri non coperte dal ghiaccio, e la fauna che vi sopravvive è legata a semplici catene alimentari. I collemboli, ad esempio, sono predati principalmente da acari del muschio, ai quali può essere trasferita la microplastica ingerita. “Le materie plastiche stanno quindi entrando nelle semplici catene alimentari antartiche terrestri e rappresentano un nuovo potenziale fattore di stress per gli ecosistemi polari, che già affrontano i cambiamenti climatici e l'aumento delle attività umane”, scrivono gli autori della ricerca nel proprio studio. Tra turismo, spedizioni scientifiche, attività militari e commerciali, l'Isola di Re Giorgio è considerata una delle più contaminate dell'intero continente antartico.
Recentemente scienziati dell'Università Statale dello Utah hanno dimostrato che nelle aree remote e nei parchi degli Stati Uniti Occidentali, ogni anno piovono letteralmente ben mille tonnellate di microplastiche, pari al peso di 123 milioni di bottiglie d'acqua. Le microplastiche sono già finite da tempo nella nostra catena alimentare e si stima che ogni anno ciascuno di noi ne ingerisca circa 250 grammi, come un abbondante piatto di pasta. I dettagli sulla ricerca “Plastics everywhere: first evidence of polystyrene fragments inside the common Antarctic collembolan Cryptopygus antarcticus” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Biology Letters.