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I Paesi guidati dalle donne affrontano meglio la pandemia: lo dimostra uno studio

Mettendo a confronto le nazioni con parametri socio-demografici simili, due scienziate hanno dimostrato che le leader donne nella prima fase della pandemia di coronavirus SARS-CoV-2 hanno ottenuto risultati sensibilmente migliori degli uomini in termini di vittime e numero di infezioni. Ecco quali sarebbero le ragioni.
A cura di Andrea Centini
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Jacinda Ardern, a capo della Nuova Zelanda
Jacinda Ardern, a capo della Nuova Zelanda

Nel momento in cui stiamo scrivendo, sulla base della mappa interattiva realizzata dagli scienziati americani dell'Università Johns Hopkins, la pandemia di coronavirus SARS-CoV-2 ha provocato il contagio di quasi 27 milioni di persone e la morte di oltre 875mila. Questi drammatici dati continuano ad aumentare giorno dopo giorno e continueranno a farlo fin quando non sarà disponibile un vaccino per tutti, sempre che il virus non sparisca per conto proprio, come fece quello responsabile della Spagnola (anche se diversi esperti ritengono che conviveremo col SARS-CoV-2 molto a lungo, se non per sempre). Nella fase iniziale della pandemia ciascun Paese ha approcciato l'emergenza secondo una propria strategia, ottenendo risultati spesso assai divergenti: basti pensare al noto caso della Svezia, l'unico Paese europeo a non avere attuato il lockdown, che ha ottenuto come unico risultato tassi di mortalità elevatissimi. Al di là delle singole decisioni, c'è un "fil rouge" che lega i Paesi guidati da leader donne, tra i più virtuosi in assoluto in termini di contenimento di vittime e contagi.

Per capire se la guida femminile sia stata effettivamente migliore di quella maschile nella gestione della pandemia, le professoresse Supriya Garikipati dell'Università di Liverpool e Uma S Kambhampati dell'Università di Reading hanno messo a punto uno studio sistematico in grado di definire con criteri scientifici eventuali differenze. Le due scienziate, entrambe impegnate nel ramo dell'Economia, hanno innanzitutto dovuto fare i conti con l'esiguo numero di Paesi guidati da donne rispetto all'egemonia maschile: sui 194 Paesi del campione, infatti, solo il 10 percento (una ventina) è risultato essere a guida femminile. Dato la percentuale così bassa, per fare un confronto sensato le ricercatrici non hanno lavorato sui dati globali, ma hanno abbinato i vari Paesi sulla base di diversi criteri socio-demografici, intimamente connessi col rischio di trasmissione del virus e mortalità per COVID-19 (l'infezione provocata dal patogeno). Fra essi figurano l'età media della popolazione e la percentuale di over 65; il PIL pro capite; la densità della popolazione; la spesa sanitaria pro-capite; il numero di turisti in entrata e altro ancora, come specificato in un articolo pubblicato su The Conversation.

Incrociando tutti i dati, nei primi tre mesi della pandemia (fino a maggio) è emerso un quadro decisamente più roseo per le nazioni a guida femminile. Ecco alcuni esempi: Hong Kong, guidata da Carrie Lam, ha fatto registrare 1.056 contagi e quattro decessi, mentre Singapore, “che ha un'economia simile e caratteristiche demografiche comparabili ma è governata da un uomo – scrivono Garikipati e Kambhampati -, ha registrato 28.794 contagi e 22 decessi nello stesso arco temporale”. Un paragone analogo può essere fatto per la Norvegia e l'Irlanda: nella prima, guidata da Erna Solberg, sono stati registrati 8.257 casi e 233 morti, mentre la seconda, a guida maschile, ha fatto registrare 24.400 infezioni e oltre 1.500 morti. Infine viene citato il parallelismo tra Taiwan e Corea del Sud: la prima, guidata da Cai Yingwen, ha avuto solo 440 infezioni e 7 morti, mentre la seconda a guida maschile ha sperimentato 11.078 contagi e 263 morti. Un aspetto interessante risiede nel fatto che questo "primato femminile" resta valido non solo con le nazioni più vicine dal punto di vista socio-demografico, ma anche con le seconde più vicine, le terze, le quarte, le quinte e così via. L'unico Paese risultato in controtendenza è il Belgio, benché accorpandolo ai dati globali non influenza la virtuosa gestione al femminile.

Secondo le due studiose questi risultati positivi sono stati ottenuti perché le leader donne hanno messo subito in lockdown i propri Paesi, privilegiando la vita umana e “sacrificando” prima l'economia, mentre gli uomini hanno atteso fin che hanno potuto. Germania e Nuova Zelanda, guidate rispettivamente da Angela Merkel e Jacinda Ardern, sono stati due dei Paesi più virtuosi da questo punto di vista. Tutti ricordiamo il dietrofront della Gran Bretagna di Boris Johnson, costretta a cambiare in corsa la strategia iniziale – volta alla conquista di un'utopica immunità di gregge -, dopo essere piombata in un vero e proprio incubo fra decessi, reparti di terapia intensiva intasati e lo stesso Primo Ministro ricoverato in ospedale. “Il nostro studio mostra che i risultati del COVID sono sistematicamente migliori nei Paesi guidati da donne e, in una certa misura, ciò può essere spiegato dalle risposte politiche proattive e coordinate da loro adottate”, hanno spiegato nell'abstract della propria ricerca le due scienziate.

Le donne leader sembrerebbero dunque meno propense al rischio che coinvolge la vita umana rispetto ai colleghi uomini, che a loro volta sarebbero più orientati verso il “portafoglio”. Ciò sarebbe evidenziato da alcune ricerche citate dalle studiose su The Conversation, come l'articolo “Financial Decision-Making: Are Women Really More Risk-Averse?”. Infine, le autrici della ricerca spiegano che dietro a questi risultati potrebbe esserci anche una differenza nello “stile” di comando: “È probabile che gli uomini guidino i propri Paesi con uno stile ‘orientato all'obiettivo, mentre le donne in un modo ‘orientato all'interpersonale'. Le donne quindi tendono ad adottare uno stile più democratico e partecipativo e tendono ad avere migliori capacità di comunicazione”, affermano Garikipati e Kambhampati.

Le due scienziate hanno comunque sottolineato che siamo solo all'inizio della pandemia, e dunque le cose potrebbero cambiare radicalmente in futuro, quindi è troppo presto per decretare vincitori e vinti. Va inoltre tenuto presente che i numeri dei casi sono “probabilmente sottostimati” e che ciascun Paese registra i decessi legati al coronavirus in base a un proprio protocollo. I dettagli dello studio “Leading the Fight Against the Pandemic: Does Gender ‘Really’ Matter?” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica SSRN.

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