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Covid 19

Le disabilità intellettive sono il secondo fattore di rischio (dopo l’età) nella mortalità per Covid

Analizzando i dati di circa 65 milioni di cartelle cliniche di cittadini americani, un team di ricerca del Jefferson Health di Philadelphia ha determinato che le disabilità mentali rappresentano il secondo fattore di rischio nella mortalità per COVID-19, dopo l’età avanzata. Per questi pazienti è significativamente superiore anche il rischio di contrarre l’infezione da coronavirus SARS-CoV-2 e di essere ricoverati.
A cura di Andrea Centini
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Le persone che soffrono di disabilità intellettive hanno un rischio sensibilmente maggiore di contrarre l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2, di finire in ospedale e di morire per essa. Questa condizione, che secondo l'autorevole Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) rientra nei disturbi del neurosviluppo, ha un impatto così significativo sulla mortalità per COVID-19 da essere seconda soltanto all'età avanzata. In altri termini, chi soffre di disabilità intellettive ha un rischio superiore anche di chi presenta patologie cardiache, renali e di altro genere, che sin dall'inizio della pandemia sono state strettamente associate alle complicazioni infauste dell'infezione.

A determinare che i pazienti con disabilità intellettive hanno una probabilità superiore di contrarre il SARS-CoV-2, aggravarsi e perdere la vita per la malattia è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati del Center for Autism & Neurodiversity del Jefferson Health di Philadelphia, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della società Data Scientist – Vizient, Inc. di Irving. I ricercatori, coordinati dal professor Jonathan Gleason dell'istituto della Pennsylvania, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto una approfondita analisi delle cartelle cliniche di circa 65 milioni di cittadini americani (un quinto della popolazione complessiva), iscritti in oltre 500 distinte organizzazioni sanitarie tra gennaio 2019 e novembre 2020.

Incrociando questi dati con quelli della devastante pandemia di COVID-19, che negli USA ha contagiato quasi 29 milioni di persone e ne ha uccise 523mila, gli scienziati hanno osservato il rischio elevatissimo per le persone con disabilità intellettive. Tenendo presenti fattori come l'età e altre condizioni di salute, il professor Gleason e i colleghi hanno determinato che questi pazienti avevano “probabilità 2,5 volte superiori di contrarre la COVID-19, 2,7 superiori di essere ricoverate in ospedale e 5,9 volte superiori di morire per l'infezione rispetto alla popolazione generale”, si legge in un comunicato stampa del Jefferson Health. Come indicato, soltanto l'età avanzata risultava essere un fattore di rischio maggiore.

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“Le probabilità di morire per COVID-19 sono più alte per le persone con disabilità intellettiva rispetto a quelle che soffrono di insufficienza cardiaca congestizia, malattie renali o polmonari”, ha dichiarato il professor Gleason. “Questa è una consapevolezza estremamente significativa che, come comunità sanitaria, non abbiamo pienamente compreso fino ad ora”, ha aggiunto lo scienziato. “La nostra incapacità di proteggere questi individui profondamente vulnerabili è straziante”, gli ha fatto eco la coautrice dello studio Wendy Ross, direttrice del Center for Autism & Neurodiversity. Secondo gli autori della ricerca, le persone con disabilità intellettive sono più esposte ai rischi del contagio poiché, a causa della propria condizione, possono aderire meno alle misure anti contagio di base, come indossare le mascherine, rispettare il distanziamento sociale e curare l'igiene delle mani. Inoltre molto spesso questi pazienti presentano altre condizioni di salute sottostanti (comorbilità), che possono aumentare il rischio di complicazioni della COVID-19. Del resto, anche prima della pandemia le condizioni di salute di questi pazienti erano considerate precarie.

Alla luce di questi dati drammatici, cosa è possibile fare per aiutare le persone con disabilità intellettive? Gli autori dello studio hanno diverse idee al riguardo. Innanzitutto i pazienti e chi si prende cura di loro (i cosiddetti “caregiver”) dovrebbero avere la priorità nelle vaccinazioni anti Covid; in secondo luogo gli uffici federali e statali dovrebbero mettere a punto una strategia volta a migliorare la salute di questi pazienti; e infine, spiega il professor Gleason, negli Stati Uniti dovrebbe essere completamente “ridisegnato il modello di assistenza” per i pazienti con disabilità intellettive. Tali iniziative, naturalmente, laddove necessario sono da ritenere efficaci anche altrove. I dettagli della ricerca “The Devastating Impact of Covid-19 on Individuals with Intellectual Disabilities in the United States” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The New England Journal of Medicine (NEJM) Catalyst.

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