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Covid 19

La variante inglese della Covid si diffonde meglio tra i bambini?

Dall’analisi preliminare dei dati sulla diffusione della variante inglese del coronavirus SARS-CoV-2 nel Regno Unito, alcuni esperti ritengono che essa possa contagiare più facilmente i bambini rispetto ai ceppi precedenti. La ragione sarebbe dovuta alla maggiore capacità della proteina S di legarsi al recettore ACE-2 delle cellule umane. Ma non tutti gli scienziati sono concordi con questa ipotesi.
A cura di Andrea Centini
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La variante inglese B.1.1.7 del coronavirus SARS-CoV-2 potrebbe diffondersi più facilmente tra i bambini rispetto a quelle “comuni” che già circolano da tempo. A suggerirlo sono gli scienziati del New and Emerging Respiratory Virus Threats advisory group (Nervtag), un comitato di esperti che sta supportando il governo britannico ad affrontare la pandemia di COVID-19. Secondo i ricercatori questa maggiore suscettibilità sarebbe legata alla trasmissibilità di questa variante, stimata tra il 50 e il 70 percento superiore rispetto al ceppo originale. Questa sua capacità, non ancora dimostrata dall'evidenza scientifica, sarebbe dovuta alle mutazioni rilevate (8 delle quali concentrate sulla proteina S o Spike) che avrebbero reso il coronavirus più abile a legarsi al recettore ACE-2 delle cellule umane.

Com'è noto dai dati epidemiologici i bambini risultano generalmente meno colpiti dall'infezione, e quando essa si manifesta, nella stragrande maggioranza dei casi è asintomatica o paucisintomatica (con sintomi lievi). Benché non siano mancati casi gravi e purtroppo anche fatali, la percentuale è assai contenuta. Ciò, secondo gli esperti, sarebbe dovuto al fatto che i bambini hanno meno ACE-2 rispetto agli adulti. A questo recettore si aggancia la proteina S del patogeno, un sorta di “grimaldello biologico” che riesce a scardinare la parete cellulare e far penetrare all'interno l'RNA virale, processo che dà il via alla replicazione che è alla base dell'infezione (COVID-19). In pratica, i bambini hanno meno "serrature" per la chiave del virus, e per questo sono meno esposti sia alle infezioni che alle forme gravi delle stesse. Ma con la nuova variante in circolo la situazione potrebbe cambiare, proprio perché la B.1.1.7 sarebbe più efficiente a sfruttare le porte d'accesso.

Come sottolineato alla BBC dalla professoressa Wendy Barclay, membro del Nervtag e docente presso l'Imperial College di Londra, le mutazioni che hanno reso meno “inibito” il virus potrebbero aver messo i bambini sullo stesso piano degli adulti. E se le cose stanno effettivamente così, dato che i bambini tendono meno a rispettare il distanziamento sociale “ci si aspetterebbe di vedere più bambini infettati”. In base ai dati preliminari sulla diffusione della nuova variante del coronavirus – identificata a settembre ma “esplosa” nelle ultime settimane, soprattutto nel Sud Est dell'Inghilterra -, secondo il professor Neil Ferguson del Centro MRC per l'analisi delle malattie infettive globali (anch'esso membro del Nervtag) essa avrebbe evidenziato una “maggiore propensione a infettare i bambini”. Se ciò fosse vero, ha aggiunto lo scienziato, “questo potrebbe spiegare una percentuale significativa, forse anche la maggioranza, dell'aumento di trasmissione osservato”.

Ma non tutti gli esperti concordano con questa lettura della storia. Il virologo tedesco Christian Drosten dell'ospedale universitario Charité di Berlino, ad esempio, dichiara che è prematuro affermare che la la variante inglese sia più trasmissibile, e che i dati preliminari devono essere supportati da studi scientifici. La rapida diffusione potrebbe essere stata “determinata dal caso”, afferma l'esperto, e non esclude che possa verificarsi una situazione analoga a quella della variante spagnola emersa questa estate. Secondo il professor Julian Hiscox, esperto di malattie infettive e di salute pubblica dell'Università di Liverpool, al momento non ci sono prove che la variante si diffonda in modo più efficiente tra i bambini. Dello stesso avviso gli esperti del Covid-19 Genomics UK Consortium (COG-UK), che hanno affermato “di non essere a conoscenza di alcuna maggiore incidenza nei bambini”, come riportato alla BBC. Si tratta di un parere autorevole, tenendo presente che è stato proprio questo gruppo di ricerca a definire le mutazioni della variante inglese “senza precedenti”, nell'articolo “Preliminary genomic characterisation of an emergent SARS-CoV-2 lineage in the UK defined by a novel set of spike mutations”. Al momento, dunque, si tratta solo di ipotesi non supportate da studi ad hoc, e come affermato dall'infettivologo Massimo Andreoni, gli scienziati commettono un errore a diffondere le notizie senza il supporto di dati scientifici certi, riferendosi alla maggiore contagiosità della variante inglese.

Se davvero la B.1.1.7 fosse più trasmissibile tra i bambini, si pone il problema della riapertura delle scuole a gennaio nel Regno Unito, come auspicato dal governo di Boris Johnson. La variante ha già raggiunto altri Paesi ma al momento si contano solo pochi casi e la situazione sembra essere sotto controllo, pertanto al momento non dovrebbe esserci alcun impatto anche nel caso in cui dovesse essere confermata la maggiore contagiosità generale e tra i più piccoli.

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