3.298 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Covid 19

La variante inglese del coronavirus rimane nel corpo il doppio del tempo rispetto agli altri ceppi

Mettendo a confronto i casi di contagio da variante inglese con quelli di altri ceppi del coronavirus SARS-CoV-2 tra i giocatori della NBA, il campionato di basket professionistico americano, un team di ricerca guidato da scienziati dell’Università di Harvard ha dimostrato che il patogeno del lignaggio mutato resta a più a lungo nel nostro organismo, quasi il doppio del tempo.
A cura di Andrea Centini
3.298 CONDIVISIONI
Particelle virali del coronavirus (in giallo). Credit: NIAID
Particelle virali del coronavirus (in giallo). Credit: NIAID
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

La variante inglese del coronavirus SARS-CoV-2 resta nell'organismo umano più a lungo, quasi il doppio del tempo rispetto agli altri lignaggi. Una permanenza superiore equivale a infezioni più durature e di conseguenza anche a maggiori opportunità per il patogeno di diffondersi nella popolazione. Probabilmente è proprio per questa peculiare caratteristica che la variante inglese – scoperta nell'Inghilterra sudorientale a settembre del 2020 – presenta una trasmissibilità superiore rispetto a quella del ceppo “originale” di Wuhan, stimata tra il 30 e il 50 percento in più, come mostrano diversi studi britannici.

A determinare che la variante inglese B.1.1.7 (o Variant of Concern 202012/01 – VOC-202012/01) rimane più a lungo nell'organismo dei pazienti contagiati è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati della Scuola di Salute Pubblica “T. Chan” dell'Università di Harvard, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Epidemiologia della Scuola di Sanità Pubblica Yale, della società IQVIA, dell'Università della Carolina del Nord di Chapel-Hill, del Duke Center for Antimicrobial Stewardship and Infection Prevention e dell'Università Columbia di New York. Gli scienziati, coordinati dal professor Stephen M. Kissler, docente presso il Dipartimento di Immunologia e Malattie Infettive del prestigioso ateneo di Boston, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i casi di positività tra i giocatori della NBA (National Basketball Association).

La scorsa estate il campionato di basket statunitense riprese dopo la pausa forzata nei primi mesi della pandemia di COVID-19, e i giocatori furono confinati in una vera e propria “bolla”, dove venivano continuamente sottoposti a tamponi per garantire il prosieguo dei match. Tale procedura è stata riproposta anche all'avvio del nuovo campionato. Dai test effettuati, tra i giocatori sono emersi 65 casi di positività al coronavirus SARS-CoV-2, e fra essi in sette sono risultati contagiati dalla variante inglese B.1.1.7. Mettendo a confronto le caratteristiche delle infezioni “normali” con quelle scatenate dalla variante inglese, gli scienziati americani hanno osservato alcune significative differenze. “Per gli individui infettati da B.1.1.7 – si legge nell'abstract dello studio – la durata media della fase di proliferazione del virus era di 5,3 giorni, la durata media della fase di eliminazione era di 8,0 giorni e la durata media complessiva dell'infezione era di 13,3 giorni. Per le infezioni da virus non B.1.1.7 si registravano una fase di proliferazione media di 2,0 giorni, una fase di eliminazione media di 6,2 giorni e una durata media dell'infezione di 8,2 giorni ”. Ciò, come indicato, mostra che i giocatori con variante inglese in media sono rimasti infetti più a lungo, per circa due settimane, invece che per 8 giorni.

Poiché la quarantena negli Stati Uniti può andare dai 7 ai 10 giorni in base a determinati criteri (benché i CDC raccomandino i 14 giorni), gli autori dello studio ritengono che vi sia il rischio che i contagiati da variante inglese possano continuare a diffondere il patogeno nella comunità, uscendo prima del tempo. Gli scienziati americani hanno inoltre scoperto che in media i giocatori infettati dalla variante inglese avevano una carica virale leggermente più elevata, pari a 8,5 log10 copie di RNA/ml contro 8,2 log10 copie di RNA/ml degli infettati da altri lignaggi. Va tenuto presente che si tratta di una ricerca con un ristretto campione di partecipanti e che i dati non sono ancora stati sottoposti a revisione paritaria, pertanto dovranno essere confermati da indagini più approfondite. I dettagli della ricerca “Densely sampled viral trajectories suggest longer duration of acute infection with B.1.1.7 variant relative to non-B.1.1.7 SARS-CoV-2” sono stati pubblicati in un database online dell'Università di Harvard.

3.298 CONDIVISIONI
32805 contenuti su questa storia
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views