La sonda Hayabusa 2 ha bombardato l’asteroide Ryugu: ne porterà un “morso” sulla Terra
L'agenzia spaziale giapponese JAXA ha annunciato che la sonda Hayabusa 2 ha “bombardato” con successo l'asteroide 162173 Ryugu, sul quale si è adagiata lo scorso 22 febbraio dopo anni di viaggio nello spazio. L'ambizioso obiettivo della missione è quello di prelevare campioni dall'antichissimo sasso spaziale e riportarli sulla Terra nel 2020. Sono stati già eseguiti prelievi minori attraverso piccoli proiettili di tantalio di 5 grammi, che hanno sollevato detriti e polveri “risucchiati” da un tubo posizionato sulla sonda. Il bombardamento appena eseguito è stato invece il passo fondamentale per portare alla luce il materiale più "prezioso" che gli scienziati giapponesi intendono analizzare.
Colpito. Ma come ha fatto la sonda a bombardare l'asteroide? Gli scienziati hanno progettato un sofisticato dispositivo che, dalle prime immagini giunte sulla Terra, sembrerebbe aver funzionato egregiamente. Hayabusa 2 ha liberato il dispositivo chiamato Small Carry-on Impactor (SCI) a circa 500 metri di altezza assieme a un'altra piccola sonda chiamata DCAM3, che ha lo scopo di riprendere il punto di impatto, l'esplosione e il risultante cratere. Dopo aver sganciato i due robot Hayabusa 2 è andata a “nascondersi” sull'altro lato dell'asteroide per evitare di essere investita dai detriti. Lo SCI, composto da una carica esplosiva e da un proiettile di rame di 2,5 chilogrammi, ha colpito la superficie dell'asteroide a una velocità di 2 chilometri al secondo, sollevando una grande mole di detriti, come hanno mostrato le prime immagini (sgranate) inviate sulla Terra dalla DCAM3.
Prossimi passi. Gli scienziati attenderanno fiduciosi il deposito dei detriti sollevati, e nel giro di alcune settimane faranno atterrare Hayabusa 2 sul neonato cratere per il recupero. L'obiettivo del bombardamento era quello di portare alla luce il materiale “puro” e interno dell'asteroide, non sottoposto all'azione della radiazione solare. Poiché Ryugu risale a circa 4 miliardi di anni fa, al suo interno sono custoditi i materiali organici legati alla nascita del Sistema solare, il principale oggetto di studio della missione. Non ci resta che attendere la manovra del prelievo e il rientro sulla Terra, come indicato previsto per il prossimo anno.