La positività di Trump dimostra che i test non bastano: servono distanza e mascherine

Ci sono leader politici che hanno continuato per mesi a minimizzare i rischi della pandemia di coronavirus SARS-CoV-2, accompagnando le proprie elucubrazioni con comportamenti in grado di mettere a rischio sé stessi e gli altri. Boris Johnson, Jair Bolsonaro e ora anche Donald Trump, allineati a una certa forma di pensiero, sono “capitolati” uno dopo l'altro, risultando tutti positivi. Ad oggi chi ha avuto la peggior esperienza è stato il 55enne premier britannico, che ha trascorso tre giorni in terapia intensiva e ha avuto bisogno di ossigeno per superare l'infezione, ma anche il presidente degli Stati Uniti rischia grosso.
Donald Trump ha infatti 74 anni e rientra nella fascia di età che rischia di più potenziali complicazioni. È ricoverato per scopo precauzionale – così riportano le fonti ufficiali – all’ospedale militare Walter Reed di Bethesda, nel Maryland, ma secondo la CNN sarebbe molto stanco e avrebbe già difficoltà respiratorie, nonostante i “cinguettii” di rassicurazione inviati dallo stesso Trump. Naturalmente, trattandosi del presidente degli Stati Uniti, sta ricevendo i migliori trattamenti disponibili al mondo, basati sia su protocolli standardizzati che sperimentali. Tra i farmaci somministrati al presidente vi sono un cocktail sperimentale di anticorpi monoclonali (Regeneron – REGN-CoV-2), l'antivirale remdesivir e altri medicinali.
La speranza è che Trump possa rimettersi al più presto, così come sua moglie Melania (anch'essa risultata contagiata), ma la sua positività è un monito per tutti: i tamponi da soli non bastano a proteggere le persone – e la comunità – dalla diffusione del virus. Serve infatti anche il rispetto rigoroso delle tre semplici misure che ormai tutti dovremmo conoscere bene: mantenere la distanza dagli altri di almeno un metro (in Italia, in altri Paesi si arriva fino a 2 metri); indossare le mascherine laddove richiesto – presto in Italia potremmo doverle mettere sempre, anche all'aperto – e curare spesso l'igiene delle mani, con acqua e sapone o un gel idroalcolico.
Trump e il suo vice Mike Pence sono stati spesso sottoposti a tamponi rino-faringei per verificare una eventuale positività, ma il presidente americano a lungo ha evitato di indossare la mascherina – all'inizio della pandemia disse che non l'avrebbe mai messa – e non ha mantenuto il distanziamento sociale. Lo stesso comportamento è stato osservato nel suo entourage, e non a caso si ritiene sia stato contagiato dalla stretta collaboratrice Hope Hicks (sull'elicottero presidenziale Marine One o sull'Air Force One). Le principali autorità sanitarie come l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) americani raccomandano di auto-isolarsi dopo aver appreso di essere stati esposti a un positivo e mentre si è in attesa del responso del tampone, ma Trump, pur avendo saputo della positività della Hicks, ha proseguito il suo programma per le elezioni presidenziali e ha presenziato anche a una raccolta fondi, mettendo a rischio le altre persone.
La cautela è necessaria anche perché i tamponi non sono infallibili e sensibili al 100 percento, soprattutto quelli rapidi. Un giorno si potrebbe risultare negativi poiché non c'è ancora sufficiente carica virale e quello successivo risultare positivi, perché il virus si è replicato a sufficienza. In quest'arco di tempo si può essere sempre contagiosi, pur non manifestando sintomi o non manifestandoli ancora (fase presintomatica). I tamponi sono preziosissimi per isolare positivi e spegnere focolai sul nascere, ma solo rispettando le misure su mascherine e distanziamento sociale si può tenere "a bada" la catena dei contagi, in attesa che arrivi l'agognato vaccino, verosimilmente nei primi mesi del prossimo anno.