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La piccola Diana, colpita da una grave malattia rara, è guarita: salva grazie a medici e ricercatori

I medici e i ricercatori dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma hanno salvato la piccola Diana, una bambina affetta da una rara e gravissima malattia genetica che la stava uccidendo. Hanno innanzitutto individuato la mutazione genetica responsabile della sua condizione, e dopo un trattamento con farmaci sperimentali hanno sottoposto la bambina a un trapianto di midollo osseo, che ha permesso la sua guarigione.
A cura di Andrea Centini
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La piccola Diana con i suoi genitori. Credit: Ospedale Bambino Gesù
La piccola Diana con i suoi genitori. Credit: Ospedale Bambino Gesù

Diana, una bambina colpita da una grave e rarissima malattia genetica, è stata dichiarata guarita dai medici che, assieme ai ricercatori, per anni hanno lottato duramente per salvarle la vita, più volte messa a repentaglio dalle complicanze della sua condizione. Non si è trattato di un miracolo, ma del complesso e delicato lavoro sotto traccia di uomini e donne dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma, che hanno prima identificato la mutazione genetica responsabile del male, e successivamente, grazie a un farmaco sperimentale e a un trapianto di midollo osseo (donato dal padre), sono riusciti a strappare la piccola da un destino infausto. Per rendersi conto di quanto sia stato drammatico questo percorso, basti pensare che in letteratura medica sono noti soltanto cinque casi di questa malattia (chiamata sindrome NOCARH), la maggior parte dei quali conclusi col decesso del paziente. La storia di Diana e del team che gli ha salvato la vita è stata raccontata sulle pagine del nosocomio pediatrico romano, in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare che quest'anno si celebra sabato 29 febbraio.

La storia di Diana

A sole due settimane dalla nascita, si legge nel comunicato stampa del Bambino Gesù, la piccola Diana viene trasferita all'ospedale romano in gravi condizioni: presenta “pelle piena di macchie, febbre alta continua, gravi carenze di cellule nel sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine)”. Medici e ricercatori non sanno con quale patologia hanno a che fare e decidono per il ricovero in isolamento della bambina, che durerà sette, interminabili mesi. Durante questo periodo Diana sperimenta serie manifestazioni infiammatorie, che i medici sono riusciti a contenere grazie a un farmaco chiamato “anakira”. La piccola migliora e viene finalmente mandata a casa, ma la sua situazione precipita di nuovo dopo pochi mesi, con crisi e sintomi sempre più gravi, tra i quali vi sono anche emorragie intestinali. La piccola ha continue ricadute e i ricoveri si susseguono. I medici la inseriscono in uno speciale percorso di ricerca per le malattie rare, e grazie ai nuovi macchinari per il sequenziamento genomico viene identificata la mutazione responsabile della sua malattia, che coinvolge il gene CDC42 (già legato ad altre patologie rare). Si tratta del primo, fondamentale passo verso la terapia che porterà Diana verso la guarigione. Mentre i ricercatori studiano un modo per “colpire” la mutazione responsabile, vengono individuati altri quattro bambini con la stessa malattia di Diana. Viene così deciso anche il nome della patologia: Sindrome NOCARH, acronimo di Neonatal-Onset Cytopenia with dyshematopoiesis, Autoinflammation, Rash and Hemophagocytosis.

Il farmaco, il trapianto e la guarigione

Poiché la condizione di Diana era “essenzialmente limitata alle cellule del sangue”, scrivono i ricercatori del Bambino Gesù, si è pensato che attraverso un trapianto di midollo sarebbe stato possibile curarla. La bambina nel frattempo continua ad avere crisi gravissime che la mettono in costante pericolo di vita – compreso un infarto intestinale – ma i medici riescono sempre a salvarle la vita. Per porre fine alle crisi infiammatorie si decide di utilizzare un farmaco sperimentale chiamato “emapalumab”, un anticorpo monoclonale utilizzato in bambini con HLH (Linfoistiocitosi Emofagocitica primaria), tra i quali vi è anche il piccolo Alex. Il farmaco riesce a porre fine alle crisi e diventa così possibile procedere col trapianto del midollo. Non trovandosi donatori compatibili si decide di coinvolgere un genitore (il padre). Grazie a una delicata e complessa procedura per impedire problemi immunitari con le cellule staminali emopoietiche prelevate dal papà, i medici dell'ospedale romano riescono finalmente a predisporre ed eseguire l'intervento. “Il trapianto è stato un successo – si legge nel comunicato stampa – e oggi Diana è guarita, non presenta più segni della malattia. Una malattia di cui non si sapeva il nome e di cui la bambina conserverà, forse, soltanto il ricordo”. I dettagli di questo straordinario risultato medico e umano, sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica specializzata “Journal of Experimental Medicine”.

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