La NASA vuole raggiungere le stelle: nuovi piani per spedizioni interstellari
In tempi di crisi economica, sognare non costa nulla. Così, mentre ci si barcamena con tagli e limiti di budget, e un futuro ancora incerto sugli obiettivi umani nello spazio (la Luna? Marte? Asteroidi?), alla NASA si lavora per immaginare le spedizioni interstellari di domani. Il sistema solare, del resto, comincia già a sembrarci stretto. Lì fuori, tra le stelle, potrebbero esserci pianeti abitabili. Forse persino intorno al sistema stellare più vicino alla Terra, quello di Alpha Centauri, una stella molto simile al Sole, parte di un probabile sistema triplo che però non necessariamente impedirebbe l’esistenza di pianeti con condizioni sufficienti a ospitare la vita. Problema: alla velocità della luce, ci vogliono quasi quattro anni e mezzo per arrivarci. E al momento l’oggetto più veloce costruito dall’uomo, la sonda New Horizons diretta verso Plutone e i confini del sistema solare, viaggi a velocità assai inferiori. Le occorrerebbero 70.000 anni per raggiungere Alpha Centauri. Possiamo aspettare così tanto?
La strada che porta alla stelle
Decisamente no. C’è almeno un metodo per fare più veloce: realizzare un’astronave con un motore a fusione nucleare. Al momento, sulla Terra siamo ancora lontani dal poter realizzare un processo controllato di fusione nucleare (per intenderci, lo stesso processo che in modo incontrollato avviene in una bomba H o nel Sole). Perciò utilizzare un simile sistema come “motore” di un’astronave interstellare è un’ipotesi molto remota, ma non fantascientifica. Si calcola che in questo modo si potrebbe viaggiare a una velocità tra il 10 e il 20% di quella della luce, che per chi non lo ricorda è di ben 300.000 km/s. Poca roba, d’accordo, ma sempre meglio di niente: ci vorrebbero appena trenta o quarant’anni per arrivare su Alpha Centauri, un arco di tempo accettabile per una generazione umana.
Naturalmente, anche se riuscissimo a risolvere il problema della fusione nucleare, le difficoltà non finirebbero lì. Un viaggio di 30-40 anni non può essere intrapreso da un piccolo gruppo di persone, ma solo da un gran numero di futuri coloni, capaci di replicare nello spazio la vita di una piccola cittadina. Per farlo, dovrebbero avere una grande astronave, capace anche di riprodurre la gravità artificiale, perché vivere a gravità zero per un tempo troppo lungo provocherebbe conseguenze irreparabili per il nostro corpo, impedendo tra l’altro qualsiasi ipotesi di atterraggio su un pianeta (dove la gravità, per quanto possa essere bassa, risulterebbe comunque inaccettabile per un fisico abituato alla gravità zero). Inoltre, bisognerebbe trovare il modo di schermare l’astronave dai raggi cosmici, che sappiamo essere in grado di penetrare il nostro corpo fino a danneggiare il DNA e favorire l’insorgere di problemi alla lunga mortali. Senza lo schermo protettivo del campo magnetico e dell’atmosfera terrestre, non dureremmo che pochi anni.
100 Year SpaceShip
Lo scorso maggio la DARPA, l’agenzia americana che si occupa di progetti di ricerca avanzati nel settore della difesa, e che da sempre ha dato un sostanziale contributo all’impresa spaziale USA (in parallelo all’azione della NASA, che è un’agenzia civile) ha finanziato con mezzo milione di euro uno studio di fattibilità noto come “100 Year SpaceShip”, da cui l’acronimo 100YSS. Questo progetto recupera alcuni sogni vecchi di decenni, allora noti con l’etichetta di “Project Daedalus”, per costruire una grande astronave interstellare. L’idea è sempre quella di arrivarci con un motore a fusione nucleare o addirittura ad antimateria, la quale – quando incontra la materia ordinaria – produce un’esplosione enorme di energia. Un simile sistema permetterebbe di viaggiare al 40% della velocità della luce. Ma qui siamo già nel settore della fantascienza perché, sebbene negli acceleratori di particelle sia stato possibile produrre minuscole quantità di antimateria per alcuni istanti, allo stato attuale delle conoscenze non è possibile controllare il processo di annichilazione materia-antimateria.
Mae Jemison, ex astronauta – fu la prima donna di colore ad andare nello spazio durante un volo Shuttle – è stata scelta per dirigere il progetto. Fisica, ingegnere, imprenditrice e grande divulgatrice scientifica, è probabilmente la persona giusta al posto giusto. Lei ci crede davvero, e del resto ha abbastanza tempo per farcela. Da qui a cento anni, nel 2112, vuole che l’umanità faccia partire l’astronave diretta verso le stelle. Forse però per allora potrebbe essere stato scoperto un modo per fare ancora più veloce. La nuova idea di cui la NASA si è impossessata è quella di sfruttare il fenomeno dell’inflazione cosmica per violare il limite della velocità della luce. Harold White del Johnson Space Center crede sia possibile creare delle “bolle” di spazio-tempo in inflazione, all’interno del quale far viaggiare un’astronave. Secondo i suoi calcoli, in due settimane si raggiungerebbe Alpha Centauri.
La spinta dell'inflazione
Di che sta parlando? Come alcuni sapranno, nei primissimi istanti dopo il Big Bang si ritiene che l’universo sia entrato in una fase di espansione accelerata, nota come “inflazione”, durante la quale le sue dimensioni sono aumentate a un tasso superiore alla velocità della luce. Ciò è stato possibile in quanto non la materia, ma lo stesso spazio-tempo (con la luce al suo interno), ha aumentato le proprie dimensioni, sotto l’effetto di un campo di forza antigravitazionale. Il tutto è durato qualche frazione di secondo o poco più e ha portato l’universo a passare dalla grandezza di una molecola a quella di un pallone da rugby. Secondo alcuni cosmologi, fenomeni inflattivi potrebbero avvenire anche ora altrove nell’universo, o ripetersi in futuro. E se fossimo noi a produrli?
Se ci riuscissimo, potremmo prendere un’astronave e far sì che una piccola fetta di spazio-tempo intorno ad essa entri in uno stato di inflazione. Poi dovremmo dirigerla verso la destinazione prescelta e infine arrestare l’effetto per rientrare nello spazio normale. Non proprio una cosa alla nostra portata, però in questo caso non c’è un limite teorico che rema contro. La teoria della relatività è sempre lì, e resta inteso che nulla supera la velocità della luce, almeno all’interno della struttura dello spazio-tempo. Ma sappiamo che è possibile far sì che lo spazio-tempo stesso si espanda a velocità superiori. Niente accelerazione tale da schiacciare gli astronauti sui sedili, niente quantità immense di energia necessarie per accelerare l’astronave a velocità prossime a quelle della luce. La sfida è stata lanciata. Ora tocca agli scienziati verificarne la realizzabilità. Il tempo non ci manca: tra cento anni, forse, avremo risolto molti problemi qui sulla Terra e saremo pronti a dedicare la nostra attenzione alle stelle.