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La minaccia delle trivelle incombe sul mare italiano

Il dossier di Goletta Verde e Legambiente lancia l’allarme sulle perforazioni nel nostro mare che potrebbero distruggere ambiente e turismo per irrisori quantitativi di petrolio.
A cura di Redazione Scienze
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piattaforma petrolifera

La corsa all'oro nero, la paura strisciante che il picco del petrolio sia stato superato e che sia necessario ormai "spremerne" dalla terra fino all'ultima goccia, è la causa che, secondo le grandi associazioni ambientaliste, sta portando i giganti delle energie fossili a spostarsi sempre più verso le nuove frontiere delle trivellazioni: che in alcuni casi possono essere ambienti di cui, fino ad oggi, si è cercato di preservare la purezza, come sta accadendo con l'Artide minacciato dalla Shell; in altri, addirittura, si trovano nel nostro mare, quell'immenso tesoro già impoverito da decenni di sfruttamento ed inquinamento, oggi più a rischio che mai con l'incubo delle piattaforme petrolifere che torna ad allungarsi prepotentemente sul suo futuro. Nelle acque della penisola ne sono già attive nove, spiega Legambiente, ma «grazie ai colpi di spugna normativi dell’ultimo anno, a partire da quello previsto dal recente decreto Sviluppo promosso dal ministro Corrado Passera e in via di approvazione definitiva dal Parlamento, si potrebbero aggiungere almeno altre 70 trivelle».

Attualmente sono 1786 i chilometri quadrati di mare interessati dalle concessioni per le trivellazioni, collocati lungo l'Adriatico centro-meridionale (dinanzi alla costa marchigiana, abruzzese e brindisina) e nel Canale di Sicilia: ma gli occhi delle grandi  compagnie petrolifere mirano ad ampliare il fronte dell'oro nero italiano, nello stesso Adriatico ma anche nello Ionio. Per la precisione, al momento sono stati già rilasciati 19 permessi di ricerca petrolifera, corrispondenti ad un braccio di mare di oltre 10 000 chilometri quadrati, mentre altre 41 richieste, per un'area totale di oltre 17 000 kmq, sono in attesa di valutazione ed approvazione da parte del ministero per lo Sviluppo economico: complessivamente, una superficie più grande della Sardegna si troverebbe attualmente a fronteggiare la grave minaccia delle estrazioni. L'articolo 35 del decreto, già approvato dalla Camera e attualmente in discussione al Senato, se da una parte aumenta a 12 miglia la fascia di divieto, oltretutto solo per le nuove richieste, dall'altra consente a tutti i vecchi procedimenti di autorizzazione di ripartire dopo il brusco ed inappellabile stop seguito al disastro della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico: evidentemente, la memoria corta gioca brutti scherzi.

Un grosso rischio e un potenziale pericolo per pesca, turismo ed economia di molte località costiere che oltretutto, sottolinea Legambiente, non verrebbe ripagato da una adeguata contropartita: certamente non è attraverso le piattaforme nel Mediterraneo che l'Italia raggiungerà l'agognata autonomia energetica e questo è facilmente intuibile. Sorprendono invece i dati dello stesso Ministero aggiornati al dicembre del 2011 secondo i quali le riserve petrolifere sottomarine di cui si ha certezza ammontano a 10.3 tonnellate, pari ai consumi nazionali di circa 7 settimane: e anche se si decidesse di attingere alle riserve del sottosuolo, il periodo si allungherebbe soltanto fino ai 13 mesi. Insomma, non è nel petrolio il riscatto ed il futuro del Bel Paese, perché per quanto le trivellazioni abbiano anche scopo di ricerca difficilmente restituiranno quanto sborsato: gli investimenti annunciati da Corrado Passera, 15 milioni di euro per 25 000 nuovi posti di lavoro, confluirebbero in un settore destinato a vita effimera, eccezion fatta per le conseguenze sull'ambiente, la cui durata sarà evidentemente maggiore. Al Ministro, Goletta Verde ha consegnato la Bandiera Nera, il vessillo che spetta di diritto ai nuovi pirati del mare quelli che, anziché saccheggiare i vascelli di Sua Maestà, si dedicano a depredare le ricchezze dell'ambiente marino: con la buona speranza che possa servire da monito per fermare un'azione che verrebbe pagata interamente dall'Italia e dal suo ambiente, contribuendo ad arricchire esclusivamente i signori del petrolio.

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