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La Luna oggi è un po’ più lontana

La morte di Neil Armstrong è un’occasione per chiederci se si debba o meno tornare sulla Luna, e perché è importante che gli uomini vadano nello spazio.
A cura di Roberto Paura
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APOLLO 11 MOON LANDING

Molti tra i lettori, e lo stesso autore di questo articolo, non erano tra quelli che si erano stretti intorno al televisore in bianco e nero la sera del 20 luglio 1969 per sentire udire Neil Armstrong declamare quella frase che, a suo dire, gli era venuta in mente così, mentre scendeva la scaletta del modulo ‘Eagle': “Un piccolo passo per un uomo, un balzo gigantesco per l’umanità”. Quelli che appartengono a una generazione che ha dato per scontato la conquista della Luna non hanno mai avuto molto tempo per pensare a quanto storica davvero fu quella serata, in cui per la prima volta un rappresentante della nostra specie, un essere umano, posava il suo piede su un corpo celeste diverso dalla Terra. D’altronde, coloro che vissero quei momenti hanno avuto tutto il tempo per dimenticare Neil Armstrong e la Luna, per ricordarsene magari solo ieri, quando le agenzie hanno rilanciato la notizia resa nota dalla famiglia dell’astronauta sul suo decesso, all’età di 82 anni.

Tornare sulla Luna?

La Luna, oggi, ci sembra un po’ più lontana di quanto appariva agli uomini e alle donne del 1969. All’epoca, e negli anni immediatamente successivi, quelli scanditi dalle missioni Apollo, la Luna era diventata improvvisamente vicina, a un passo. Armstrong e Aldrin ci avevano posato le loro impronte, ancora lì, rese indelebili dall’assenza di atmosfera del nostro satellite (a differenza della bandiera a stelle e strisce, saltata via durante il decollo del modulo lunare, per effetto dell’onda d’urto). Altri li avevano seguiti, e con loro mezzi semoventi, equipaggiamento, placche-ricordo. È ancora tutto lì, sulla Luna. La NASA ogni tanto rilascia qualche emozionante immagine ripresa dai satelliti che mostra i segni della presenza umana sulla Luna (con buona pace dei complottisti, secondo i quali non ci saremmo mai andati…).

impronta_armstrong

Negli ultimi anni, numerose sonde sono state inviate sulla Luna. Abbiamo appurato parecchie cose sul suo conto, compreso il fatto che nasconda una quantità di ghiaccio sufficiente a sostenere con riserve autonome di acqua una base umana permanente. Ma, è doveroso dirlo, la maggior parte delle cose che sappiamo sulla Luna le dobbiamo alle missioni umane, non a quelle automatiche. Gli astronauti hanno raccolto campioni di rocce, di regolite e di altri campioni del suolo lunare, hanno installato sismografi e altri strumenti di analisi, hanno compiuto rilevazioni che hanno costituito la materia prima di migliaia di pubblicazioni scientifiche negli anni successivi. Certo, oggi sappiamo abbastanza sul conto della Luna da non avere la necessità di mandare altri uomini lassù. Se dobbiamo mandarli da qualche parte, li manderemo di certo su Marte.

La nuova corsa allo spazio

Allora non vedremo mai più uomini camminare sulla superficie della Luna? Probabilmente ne vedremo parecchi, nel corso dei prossimi decenni. Al di là dell’interesse scientifico, Neil Armstrong e i suoi due compagni, Edwin Buzz Aldrin e Michael Collins, andarono sulla Luna perché Kennedy, prima di essere ucciso, aveva deciso così. Perché gli Stati Uniti d’America dovevano dare una risposta forte allo smacco dello Sputnik e di Gagarin, rispettivamente il primo mezzo artificiale e il primo uomo ad andare nello spazio. Perché c’era la Guerra fredda, e per evitare di lanciare bombe atomiche a destra e a manca bisognava sfogare la tensione su altri fronti, mostrare i muscoli in ambiti dove non c’era il rischio di darsele di santa ragione, e lo spazio costituiva il terreno ideale. L’URSS abbandonò presto le sue velleità di allunaggi umani, e si diede ad altri progetti, tra cui quello della stazione spaziale, la MIR, che ancora una volta avrebbe battuto sul tempo gli americani.

Ma sbaglieremmo a credere che la competizione internazionale in ambito spaziale sia venuta meno. La Cina vuole mandare uomini sulla Luna, e non ne fa mistero. In pochi anni la Cina è riuscita a recuperare decenni di svantaggio sugli USA, e c’è da credere che entro il 2020 possa far scendere un taikonauta sul nostro satellite naturale. Agli americani la cosa non piace affatto. La Cina potrebbe in prospettiva riuscire a realizzare una base umana permanente sulla Luna, e a quel punto gli USA dovrebbero replicare. La competizione internazionale, in questo caso, potrebbe riaccendere i riflettori sulla Luna. Ma dopotutto non è di questo che abbiamo bisogno. Come Armstrong disse una volta, la sua epoca era stata l’epoca dell’esplorazione eroica, ma l’epoca successiva sarebbe stata quelle delle applicazioni. Oggi viviamo proprio in quest’epoca. Dallo spazio cerchiamo soprattutto applicazioni utili per la vita quotidiana sulla Terra. Ne abbiamo già realizzate centinaia, ma la Luna finora ci è stata di scarsa utilità.

La Luna non è abbastanza

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Si parla da qualche anno di sfruttare l’elio-3, l’isotopo dell’elio scarsissimo sul nostro pianeta ma abbondante sulla Luna, che potrebbe fungere da combustibile per le future generazioni di reattori a fusione nucleare. Sono considerazioni molto premature. La fusione nucleare è ancora molto lontana dal diventare realtà, e c’è chi è pronto a scommettere che non riusciremo a realizzarla con gli attuali metodi in corso di sperimentazione. Anche se così non fosse, solo la seconda o terza generazione di reattori potrà essere alimentata con elio-3. Parliamo, nella più ottimistica delle previsioni, del 2070-2080. Certo, si dice che la Cina e la Russia non vogliamo farsi trovare impreparate, nell’eventualità. Ma in ogni caso, l’estrazione e l’invio sulla Terra dell’elio-3 oggi è troppo costosa. Forse in futuro si potranno abbattere i costi, soprattutto se saranno coinvolte le sempre più intraprendenti compagnie spaziali private, ma parliamo sempre di svariati decenni nel futuro.

I tempi di Neil Armstrong sono passati. Non c’è più eroismo, nell’impresa spaziale. Già le ultime missioni Apollo non interessavano più molta gente. Dopo i primi voli degli Shuttle, abbiamo giustamente bollato come routine i voli nell’orbita terrestre. Abbiamo bisogno di eroi? Neil Armstrong non lo era. Amava dire di essere stato semplicemente l’uomo selezionato dalla NASA per quella missione. Come Gagarin, era un uomo dalla tempra d’acciaio, concentratissimo, dal sangue freddo. Lo dimostrò quando dovette compiere l’allunaggio a vista, facendo a meno del pilota automatico. Quando rischiò di far rimanere il modulo lunare senza carburante per il rientro, condannando lui e Aldrin a morire sulla Luna. Gli astronauti oggi sono eroi diversi da quelli che ci propone il cinema, eroi più veri, più umani. Sono più scienziati che avventurieri. Alcuni sono stati sacrificati sull’altare della conoscenza umana: i tre astronauti dell’Apollo 1, l’equipaggio del Challenger e quello del Columbia, tutti morti tragicamente in missione. Sono anche loro che dobbiamo ricordare, ricordando Neil Armstrong. Siamo tutti nati nel cuore delle fornaci stellari sparse per l’universo. Alcuni hanno avuto la fortuna di tornare a casa, la nostra vera casa, nello spazio. Neil è stato uno di loro.

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