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La fuga dal laboratorio del coronavirus è improbabile secondo un nuovo studio: ecco perché

Analizzando tutti i dati molecolari ed evolutivi del coronavirus SARS-Cov-2, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell’Università di Sydney ha determinato che l’origine del patogeno pandemico è molto probabilmente zoonotica, cioè animale, tuttavia non si esclude al 100 percento la possibilità che possa essere fuggito da un laboratorio. Ecco perché.
A cura di Andrea Centini
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Tra i misteri più significativi della pandemia che stiamo vivendo vi è sicuramente l'origine del coronavirus SARS-CoV-2. Secondo gli scienziati l'ipotesi più probabile è quella naturale zoonotica, con il salto di specie all'uomo (spillover) avvenuto attraverso un ospite animale intermedio (specie serbatoio) che però ancora non è stato identificato. Si è pensato che potesse essere il pangolino, il mammifero più contrabbandato in assoluto, tuttavia le prove raccolte fino ad oggi non sono state sufficienti per confermarlo. Proprio l'assenza di questo ospite intermedio, che fu il dromedario per la MERS e lo zibetto per la SARS – due patologie infettive provocate da betacoronavirus molto simili al patogeno pandemico -, per molti è uno degli "indizi" che avvalora la seconda ipotesi sull'origine del virus, ovvero quella artificiale, in laboratorio. In parole semplici, secondo questa ipotesi il coronavirus SARS-CoV-2 sarebbe “fuggito” da un laboratorio di massima biosicurezza (nello specifico quello di Wuhan, dove si studiano i coronavirus dei pipistrelli) innescando la pandemia che ha messo il mondo intero in ginocchio. Ora un nuovo pool di esperti ha analizzato tutte le prove disponibili e i dati relativi all'evoluzione del SARS-CoV-2, giungendo alla conclusione che l'origine zoonotica resta quella più probabile, sebbene non si possa escludere al cento per cento la fuga accidentale – o magari deliberata – da un centro di ricerca cinese.

A condurre la nuova indagine è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della School of Life and Environmental Sciences e della School of Medical Sciences dell'Università di Sydney (Australia), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Università dello Utah (Stati Uniti), del Dipartimento di biologia vegetale e microbica dell'Università della California di Berkeley, del Dipartimento di Medicina dell'Università della California di San Diego, del The Wellcome Trust di Londra (Gran Bretagna), del Dipartimento di Scienze Biologiche dell'Università Xi'an Jiaotong-Liverpool (XJTLU) di Suzhou (Cina) e di numerosi altri istituti. Gli scienziati, coordinati dal professor Edward C. Holmes, docente presso il Marie Bashir Institute for Infectious Diseases and Biosecurity dell'ateneo australiano, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto una revisione di tutte le prove scientifiche raccolte fino ad oggi sul virus.

“La nostra analisi attenta e critica dei dati attualmente disponibili non ha fornito prove dell'idea che SARS-CoV-2 abbia avuto origine in un laboratorio”, ha dichiarato il professor Holmes – virologo di fama internazionale – pur non potendola escludere al 100 percento. A sostegno dell'origine naturale, spiegano gli studiosi, ci sono molteplici indizi, considerando che la deforestazione e il commercio di animali selvatici negli ultimi 20 anni sono stati responsabili di diverse nuove zoonosi (comprese le già citate SARS e MERS). Il ceppo originale del coronavirus SARS-CoV-2 non è innanzitutto in grado di infettare i topi, che rappresentano il modello animale più utilizzato al mondo per studiare le malattie virali. Se davvero il virus fosse stato progettato in laboratorio, sarebbe un controsenso non permettere l'infezione dei modelli murini. In secondo luogo, se qualcuno si fosse messo a ingegnerizzare artificialmente il virus in un laboratorio, troveremmo nel suo profilo genetico i marcatori genetici di tale processo, che nel SARS-CoV-2 non sono stati trovati. E ancora, il SARS-CoV-2 è il nono coronavirus noto per infettare l'uomo e il settimo identificato negli ultimi 20 anni. Tutti i precedenti coronavirus umani hanno origini zoonotiche, così come la stragrande maggioranza dei virus umani. L'emergere del SARS-CoV-2 “porta diverse firme di questi precedenti eventi zoonotici”, spiegano gli scienziati nell'abstract dello studio. La somiglianza più grande è con il coronavirus responsabile della SARS (SARS-CoV), la cui emersione è legata a mercati di animali vivi a Foshan e Guangzhou (provincia di Guangdong) nel 2002 e nel 2003, in particolar modo a procioni e zibetti, animali venduti anche nel mercato di Huanan a Wuhan per tutto il 2019. Il mercato del pesce, tuttavia, come spiegano Holmes e colleghi non sarebbe stato la miccia a innescare la pandemia di COVID-19, dato che ad esso non sono legati i casi indice, ma si sarebbe trattato di un amplificatore che ha permesso la diffusione incontrollata del SARS-CoV-2, che ad oggi, sulla base della mappa interattiva dell'Università Johns Hopkins, ha provocato oltre 4 milioni di morti in tutto il mondo, quasi 128mila dei quali in Italia.

“In una revisione delle prove in quanto gruppo di esperti nell'evoluzione dei virus e nella virologia molecolare, abbiamo concluso che la spiegazione più probabile per l'origine di SARS-CoV-2 è un evento di spillover zoonotico. La traccia dei contatti dei primi casi a Wuhan, ottenuta dal rapporto dell'OMS all'inizio di quest'anno, mostra sorprendenti somiglianze con la diffusione precoce del primo virus SARS, in cui gli esseri umani infettati all'inizio dell'epidemia vivevano vicino o lavoravano nei mercati degli animali. Sebbene le specie animali intermedie non siano state trovate, vi sono chiare prove della presenza di animali sensibili nel mercato di Wuhan per tutto il 2019 e sono stati trovati virus correlati che circolano nei pipistrelli a ferro di cavallo, ancora una volta molto simili al primo virus SARS. Complessivamente le prove indicano un evento zoonotico e non una fuga da un laboratorio a Wuhan. Lo scenario della "fuga da un laboratorio" contempla sia la creazione in laboratorio che il rilascio accidentale di un virus naturale, per nessuno dei quali ci sono prove. È di fondamentale importanza comprendere l'origine di SARS-CoV-2 in modo da poter valutare il rischio di futuri eventi di spillover”, ha affermato il professor David L. Robertson, direttore del Center for Virus Research (CVR) – Bioinformatics MRC dell'Università di Glasgow e coautore dello studio.

“Questo manoscritto rappresenta una revisione molto ponderata di tutte le prove virologiche ed epidemiologiche riguardanti le origini della causa della pandemia di COVID-19, SARS-COV-2. Gli autori, che sono esperti riconosciuti nei loro campi, hanno concluso che esiste un corpo sostanziale di prove scientifiche a sostegno di un'origine zoonotica per SARS-CoV-2”, ha commentato il professor James Wood, a capo del Dipartimento di medicina veterinaria dell'Università di Cambridge, non coinvolto nello studio. “Hanno considerato le incertezze che invariabilmente persistono intorno a indagini retrospettive di questa natura e hanno anche notato che un incidente di laboratorio non poteva essere del tutto escluso, ma che questo era altamente improbabile rispetto a un'origine che implicava il contatto tra uomo e animale”, ha chiosato l'esperto. Insomma, sebbene non si possa escludere al 100 percento l'origine artificiale – e in questo caso si ritiene che possa essere stato diffuso da un ricercatore infettatosi in laboratorio -, gli esperti sottolineano che la maggior parte degli indizi è a favore dell'origine zoonotica. Del resto devono essere trovate con certezza le origini animali di molti patogeni che colpiscono l'uomo, come il virus dell'epatite C, il virus della polio, altri coronavirus e l'Ebola. I dettagli della ricerca “The Origins of SARS-CoV-2: A Critical Review” sono stati caricati sul database online Zenodo, in attesa della revisione fra pari e la pubblicazione su una rivista scientifica.

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