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La combustione umana spontanea non esiste, ma attenti a non ubriacarvi davanti al camino

La combustione umana spontanea è uno dei fenomeni di fronte ai quali spesso si dice che “la Scienza si ferma”, sì perché ha già spiegato da tempo ch’è impossibile. Scopriamo quali sono i motivi.
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A cura di Juanne Pili
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Secondo le cronache a disposizione l'autocombustione umana sarebbe molto diffusa e documentata fin dal XV Secolo, quando un cavaliere milanese prese fuoco a seguito di qualche bicchiere di troppo. Memorabile anche il caso della contessa Cornelia Bandi avvenuto nel XVIII Secolo, citato anche da Charles Dickens cento anni dopo. Le cause dovrebbero essere cercate in misteriosi meccanismi cellulari che potrebbero essere innescati dalla presenza di alcol nel sangue. Ci si aspetterebbe di trovare statistiche dove risultano casi di questo tipo ai danni di pazienti alcolizzati, ma così non è.

Cosa accomuna i casi di combustione spontanea

Quel che accomuna i casi di combustione spontanea è lo stato dei corpi quasi completamente in cenere, mentre l'ambiente circostante non risulterebbe particolarmente danneggiato, nonostante per incenerire i corpi siano richieste temperature particolarmente elevate, come nei moderni forni crematori, che si aggirano tra i 1000 e i 1300 gradi. Altro indizio interessante: le vittime spesso sono persone obese o sovrappeso. Ben lungi da bollare i casi registrati immediatamente come "bufale" la scienza forense non ha esitato di condurre studi in merito. Memorabile quello di Nickell e Fischer che copre i casi avvenuti dal XVIII al XX Secolo.

Cade il mito della "spontaneità". Per quanto si possa essere aperti di vedute Nickell e Fischer non poterono fare a meno di notare un particolare costante: i corpi erano sempre vicini a fonti potenzialmente incendiarie, come candele, lampade, camini, eccetera. Peccato che tali indizi sono stati spesso omessi dalla stampa e da buona parte della letteratura in merito, in favore della conservazione di un alone di mistero. E' vero che sussistono correlazioni tra intossicazioni (anche per via di alcolici) e combustione spontanea, ma vanno aggiunti anche casi di handicap fisici o mentali e incapacità dovute all’obesità. L'alcol quindi potrebbe aver contribuito in maniera indiretta, nel rendere la vittima meno cosciente e reattiva. Altro particolare spesso trascurato è l'abbigliamento delle vittime costituito da materiale che può conservare e favorire un incendio, oppure in gioco entra un rivestimento come una coperta. In altri casi vanno aggiunti altri elementi che contribuiscono a smentire la spontaneità e l'origine fisiologica del fenomeno, come rivestimenti di sedie e pavimenti.

Qual è la causa degli incendi? Tolto credito alla presunta spontaneità, la natura dell'incendio che interessa particolarmente il corpo della vittima – trascurando del tutto o in parte il resto dell'ambiente circostante – si può spiegare molto bene col già noto "effetto candela inverso". Verificato anche mediante diversi esperimenti. E' lo stesso grasso corporeo a fornire l'alimentazione necessaria per alimentare la combustione, senza permetterle di espandersi nell'ambiente circostante.

Chimica e medicina legale sfatano il mito

Fin dal 1851 grazie agli studi del chimico tedesco Leibig sappiamo che per bruciare in quel modo un corpo all'aperto ci vorrebbero grandi quantità di combustibile; non siamo fatti di legno, oltre al fatto che il nostro corpo è composto per oltre il 70% del peso da acqua. Inoltre, nessuna pubblicazione riguardante la medicina legale ha mai ammesso l'esistenza della combustione spontanea. Lo conferma anche Mark Benecke del dipartimento di medicina legale della polizia di New York:

Non esistono casi noti in cui gli organi interni di un corpo bruciato sono stati trovati più danneggiati delle parti esterne. Questa osservazione pratica è una prova del fatto che la combustione non comincia mai dall’interno di un corpo.

Il responso dei biologi forensi. Degno di menzione anche lo studio condotto dai biologi forensi Benecke e Pescot riguardante i 200 casi meglio documentati, ed i loro risultati si corroborano con quelli ottenuti nell'inchiesta di Nickell e Fischer.

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