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L’inaspettato costo ambientale di una fetta di pizza

Uno studio condotto da sette università ha dimostrato che le emissioni provocate da pizzerie, ristoranti e steakhouse di San Paolo del Brasile rappresentano una seria fonte di inquinamento ambientale.
A cura di Andrea Centini
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Dopo le emissioni di veicoli e caldaie, considerate le principali cause dell'inquinamento urbano, i ricercatori hanno portato sul banco degli imputati un altro fattore quasi insospettabile, ovvero la combustione che avviene nei forni a legna di pizzerie e ristoranti. Benché l'impatto sull'ambiente di queste attività possa infatti apparire limitato rispetto a quello prodotto dai gas di scarico dei motori, e in particolare dei diesel indicati come potenzialmente cancerogeni dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), un pool di dieci studiosi di sette diversi atenei coordinati dall'Università del Surrey (Regno Unito) ha dimostrato che esso può rappresentare una seria minaccia, nonostante venga generalmente omesso dagli studi di settore o comunque sottostimato.

Gli studiosi, coordinati dal professor Prashant Kumar del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell'università britannica, hanno preso in esame la città di San Paolo del Brasile, la più popolosa dell'emisfero australe con oltre ventuno milioni di abitanti nella sua area metropolitana. La megalopoli sudamericana non è stata scelta a caso per lo studio, ma per due ragioni ben definite. La prima è legata alla politica obbligatoria che vige sui biocarburanti, dato che la maggior parte dei cittadini utilizza per i propri veicoli – circa sette milioni in tutto – un biocombustibile composto da un mix di etanolo estratto dalla canna da zucchero, gasolio e diesel di soia, sensibilmente meno inquinante di quelli diffusi nelle altre metropoli. La seconda è la passione viscerale degli abitanti di San Paolo per la pizza, capace di soppiantare persino il famoso piatto nazionale brasiliano, la “feijoada”, soprattutto la domenica quando è tradizione che le famiglie si riuniscano per consumare la deliziosa pietanza italiana. A San Paolo vi sono ben ottomila pizzerie che producono un milione di pizze al giorno, parte delle quali viene cucinata con vecchissimi forni a legna e un'altra parte, circa un migliaio di unità, viene consegnata a domicilio, incentivando di conseguenza anche il traffico dei veicoli.

Secondo i calcoli degli studiosi, ogni mese nelle pizzerie e nelle steakhouse di San Paolo vengono bruciati 7,5 ettari di foreste di eucalipto, che equivalgono a 307.000 tonnellate di legno ogni anno: “Questi numeri – ha sottolineato il professor Prashant Kumar – rappresentano una minaccia reale e motivo di preoccupazione per l'ambiente, dato che vanificano l'effetto positivo legato alle politiche obbligatorie in materia di biocarburanti per i veicoli”. La preoccupazione principale risiede nel fatto che, sebbene il numero enorme di automobili e camion rappresenti comunque il primo fattore inquinante, le emissioni provocate da queste attività influiscono sensibilmente sulla qualità dell'aria e non possono essere trascurate. "Una volta in aria – ha spiegato il professor Yang Zhang della North Carolina State University, uno dei coautori dello studio – esse possono subire processi fisici e chimici complessi e formare inquinanti secondari nocivi come l'ozono e l'aerosol secondario". Curiosamente, il problema dell'inquinamento causato dai forni a legna di pizzerie e panetterie era già balzato agli onori della cronaca in Italia: lo scorso anno, infatti, il sindaco del piccolo comune di San Vitaliano a nord di Napoli, inquinatissimo dalle polveri sottili, ha imposto ai pizzaioli di adottare particolari filtri nei propri forni per abbattere l'emissione degli inquinanti, pena la chiusura dell'esercizio. I dettagli del nuovo studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Atmospheric Environment.

[Foto di copertina di Riedelmeier]

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