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L’Etna non è un vulcano, lo studio controverso dell’università di Catania

Secondo un recente studio l’Etna più che un vulcano potrebbe rivelarsi essere una gigantesca sorgente d’acqua calda, questo spiegherebbe le sue anomalie, ma esistono altre spiegazioni che trovano più concordi i vulcanologi.
A cura di Juanne Pili
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Quando pensiamo ad un vulcano attivo probabilmente l’Etna è il primo che ci viene in mente. Italiani e buona parte degli europei lo conoscono come il vulcano per antonomasia. Eppure potrebbe essere un impostore, ci ha fatto credere di esserlo per tutti questi secoli. L’ipotesi avanzata dal prof. Carmelo Ferlito dell’università di Catania è che in realtà il materiale che alimenta il cono di uscita delle sue eruzioni sarebbe per lo più acqua, quindi l'Etna sarebbe una gigantesca sorgente d’acqua calda. Almeno questo è il titolo con cui viene presentato il suo studio su Science Direct.

Vulcano o sorgente d’acqua calda?

Buona parte di geologi e vulcanologi non sono molto convinti. Del resto non è per la sua “acqua calda” che ancora affascina e spaventa chi ci vive accanto. L'Etna è quasi costantemente attivo. Tuttavia, al di là di come ci appare, Ferlito ricorda che a circa 30 chilometri dal vulcano si producono 7 milioni di tonnellate di vapore, anidride carbonica e anidride solforosa ogni anno. Abbiamo già una spiegazione di questo fenomeno: il gas bolle fuori dal magma mentre perde pressione nel suo percorso attraverso la bocca del vulcano. Ma secondo Ferlito  l'Etna avrebbe dovuto erompere dieci volte più lava di quella che ci risulta.

Ogni anno l’Etna produce oltre 7 milioni di tonnellate di vapore acqueo, anidride carbonica e anidride solforosa. La spiegazione che veniva data finora è che il gas arriva dal magma mentre questo perde pressione nel suo percorso attraverso la bocca del vulcano. Ma se così fosse la quantità di lava che dovrebbe seguire i gas dovrebbe essere almeno 10 volte superiore a quella che effettivamente arriva.

Problemi di classificazione

L’Etna è anche il vulcano anomalo per eccellenza. Situato tra due placche continentali, quella africana ed euroasiatica. Dovrebbe essere di tipo esplosivo mentre tenderebbe invece ad attingere la lava direttamente dal mantello terrestre, così risulta di tipo effusivo. Tuttavia la tendenza registrata è che diventi sempre più esplosivo. La spiegazione più condivisa è che questo dipenda dal fatto che ad un certo punto il suo magma venga contaminato da altri, derivati in profondità dallo scontro delle due placche continentali. Per questo secondo Ferlito i conti non tornerebbero, dovendosi registrare emissioni ben più potenti, avanzando così un’ipotesi alternativa:

Un sistema idraulico profondo che contiene enormi quantità di acqua, anidride carbonica e zolfo che originano il 70 per cento dei gas che vengono emessi. Solo il 30 per cento arriva dalla roccia fusa.

Chi ha ragione? Dallo studio si evincerebbe quindi che la lava proverrebbe dalla spinta dei gas. Insomma potremmo trovarci di fronte ad una questione che riguarda il modo in cui dovremmo classificare ciò che può definirsi vulcano e cosa debba restare fuori da questa definizione nel gergo scientifico. Non è la prima volta che l’Etna ci rivela sorprese sulle sue “anomalie”. Nel luglio scorso l’Ingv (ente italiano che monitora l’attività geofisica sul territorio) aveva annunciato che il vulcano poteva eruttare anche senza emettere magma. Lo studio proviene dall’Osservatorio etneo dell’Ingv ed è stato pubblicato su Science Reports, rivista facente parte di Nature. La prima firma dello studio è proprio quella di Ferlito e troviamo un altro collegamento col sistema idrico correlato al vulcano.

Dubbi sull’ipotesi di Ferlito

Sta di fatto che tutt’oggi l’Etna viene riconosciuto dall’Ingv come il vulcano più grande d’Europa, oltre ad essere tra i più attivi al Mondo. La sua attività viene monitorata con tutti i crismi da decenni. Serviranno parecchi altri studi, magari condotti da ricercatori diversi, per accertare le legittime ipotesi di Ferlito: la scienza funziona effettivamente così, mediante la continua verifica e messa in discussione delle convenzioni, persino quelle più consolidate. Ad oggi tuttavia non ci risultano ampi dibattiti che mettano a rischio l’attuale classificazione dell’Etna che conserva il titolo di vulcano. Tra le spiegazioni alternative sulle ragioni per cui registriamo quantità di magma ridotte rispetto alla norma è che una parte, non riuscendo a raggiungere la superficie, ad un certo punto del suo percorso affondi senza eruttare, diversi studi portano a questa spiegazione, come quello condotto da Kayla Iacovino della Arizona State University. Non abbiamo ancora conferme sull’origine dei gas in questione, potrebbero arrivare da profondità notevolissime, a contatto con ingenti quantità di magma dalle quali sfuggirebbero. Sarebbero quindi una delle conseguenze e non la causa delle eruzioni. Staremo a vedere.

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