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Influenza 2019, picco a fine gennaio: quali sono i sintomi e cosa rischiamo

A differenza degli ultimi anni, in cui il picco massimo dell’influenza è stato registrato all’inizio di gennaio, nel 2019 verrà raggiunto tra la fine del mese e l’inizio di febbraio. Si stima che al termine della stagione saranno oltre 5 milioni gli italiani messi a letto dalla sindrome; ecco cosa c’è da sapere per proteggersi e quali sono i sintomi.
A cura di Andrea Centini
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L'influenza del 2019 raggiungerà il picco massimo di casi tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio, in controtendenza rispetto agli ultimi anni, quando la fase acuta della sindrome si è registrata nei primi giorni del nuovo anno. In base agli ultimi dati rilasciati dal portale InfluNet – il sistema nazionale di sorveglianza epidemiologica e virologica dell’influenza coordinato dall'Istituto Superiore di Sanità (Iss) -, dall'inizio della stagione sono finiti a letto oltre 1,5 milioni di italiani; fra essi più di 256mila si sono ammalati nell'ultima settimana presa in esame dal bollettino. I numeri sono in rapida ascesa e continueranno a crescere fino al raggiungimento del picco. Il livello di incidenza in Italia è di 3,7 casi per mille assistiti, ma supera gli 11 casi per mille assistiti nella fascia di età dei più piccoli, principali “diffusori” dell'influenza. Nel complesso l'influenza 2018/2019 dovrebbe far ammalare circa 5 milioni di italiani.

Quali sono i sintomi dell'influenza 2019

L'influenza si differenzia dalle diffuse sindromi parainfluenzali (con le quali spesso viene confusa) per la manifestazione simultanea di più sintomi, che inoltre colpiscono con un'intensità superiore. Tra i principali vi sono febbre alta, dolori muscolari e articolari, spossatezza, rinorrea (il naso che cola), mal di gola e vari sintomi respiratori. Quest'anno l'influenza, che è sempre provocata da virus del genere Orthomixovirus, in diversi casi sembra accompagnarsi a sintomi gastrointestinali e a picchi di febbre meno intensi. Si tratta comunque di una patologia da non sottovalutare, soprattutto per le categorie più a rischio come anziani, bambini e pazienti con malattie croniche che debilitano il sistema immunitario. Normalmente si guarisce nel giro di una settimana o poco più, ma la tosse può durare più a lungo così come il senso di malessere generale. I bambini potrebbero richiedere più giorni per guarire.

Come proteggersi dall'influenza 2019

Oltre al vaccino, del quale tratteremo a breve, per ridurre sensibilmente il rischio di essere contagiati dall'influenza è opportuno rispettare semplici norme igieniche, come ad esempio lavarsi spesso le mani. Per le persone con sistema immunitario deficitario e più a rischio è consigliabile anche l'uso della mascherina; del resto con le temperature “polari” di questi primi giorni di gennaio e le aggregazioni in luoghi chiusi, il virus ha vita particolarmente facile.

Quali sono i virus dell'influenza 2019

I virus che stanno mettendo a letto più persone nella stagione influenzale 2018/2019 sono l'A/Michigan/45/2015 (H1N1)pdm09 e l'A/Singapore/INFIMH-16-0019/2016 (H3N2); il primo è noto per la pandemia influenzale del 2009, mentre il secondo sta colpendo soprattutto gli anziani. I vaccini quadrivalenti di quest'anno, oltre a proteggerci da questi due ceppi, limitano i rischi di contagio anche dal B/Colorado/06/2017 (lineaggio B/Victoria) e dal B/Phuket/3073/2013-like (lineaggio B/Yamagata). Quest'ultimo fu preso sottogamba lo scorso anno e fu responsabile di moltissimi contagi.

Il vaccino per l'influenza 2019

Poiché il vaccino impiega una quindicina di giorni per diventare efficace, chi ha intenzione di proteggersi può ancora farlo ma è davvero al limite per cercare di evitare il picco atteso per la fine di gennaio. A questo punto della stagione, inoltre, potrebbe anche essere difficile trovare una dose, anche perché quest'anno la campagna vaccinale è risultata efficace e sono state registrate molte più immunizzazioni che nel recente passato. Il vaccino non esclude a priori di ammalarsi, ma mitiga gli effetti della sindrome influenzale e può proteggere dalle complicanze più gravi, che possono avere serie conseguenze (anche letali) per i soggetti più a rischio.

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