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Infettare 100 persone per sviluppare il vaccino: la proposta per combattere il coronavirus

Infettare 100 persone con il coronavirus per accelerare lo sviluppo di un vaccino contro il SARS-CoV-2, l’obiettivo principale che ci farà uscire da questa situazione di pandemia. Lo suggerisce Nir Eyal, direttore del Center for Population-Level Bioethics della Rutgers University, sulla rivista Nature.
A cura di Marco Paretti
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Infettare 100 persone con il coronavirus per accelerare lo sviluppo di un vaccino contro il SARS-CoV-2, l'obiettivo principale che ci farà uscire da questa situazione di pandemia. Lo suggerisce Nir Eyal, direttore del Center for Population-Level Bioethics della Rutgers University di New Brunswick, sulla rivista Nature. La proposta, che qualcuno potrebbe definire provocatoria, si basa sul fatto che per sviluppare un vaccino funzionante bisogna necessariamente passare per un periodo di prova molto lungo. In particolare la fase III, che prevede la somministrazione di un vaccino e un placebo a migliaia di pazienti per poi osservarne il comportamento nelle settimane successive.

Con la strategia proposta da Eyal, invece, questa fase durerebbe di meno perché si andrebbero a infettare volontariamente dei pazienti con il virus. Al posto di prendere un campione di migliaia di persone e somministrargli vaccino e placebo, vedendo poi chi viene infettato naturalmente nella vita quotidiana, il ricercatore propone di condurre uno studio su un piccolo gruppo di volontari da infettare volontariamente. Eliminando in questo modo la necessità di attendere i risultati della normale fase III, che però nasce proprio per studiare l'efficacia e la sicurezza di un determinato vaccino effettuando dei test quanto più vicini alla realtà.

Con questo metodo, invece, i ricercatori vorrebbero esporre 100 persone sane tra i 20 e i 45 anni al coronavirus per capire se i vaccinati in precedenza contraggono o meno l'infezione Covid-19. Secondo Eyal, questa particolare ricerca potrebbe essere portata avanti in maniera sicura ed etica, portando a ridurre "notevolmente i tempi di approvazione e di potenziale utilizzo del vaccino" spiega il ricercatore. "Quello che richiede più tempo nei test dei vaccini è proprio il trial di efficacia di fase III. Viene fatto su moltissime persone: alcune ricevono il vaccino e altre il placebo e i ricercatori cercano le differenze tra questi due gruppi nei tassi di infezione. Tuttavia ci vorrà molto tempo prima che emergano risultati. Se invece si espongono tutti i partecipanti allo studio al patogeno, non solo serviranno molti meno volontari ma, cosa ancora più importante, occorrerà periodo molto più breve per ottenere risultati".

Il tutto sarebbe svolto in sicurezza perché avviato solamente dopo aver effettuato approfonditi test sui candidati e sul vaccino, che deve aver già superato le prime due fasi di sviluppo. Un attento controllo dei pazienti "proteggerebbe anche i partecipanti allo studio esaminandoli quotidianamente o anche più spesso, e fornendo loro un trattamento sanitario eccellente immediatamente dopo il rilevamento dell'infezione" continua Eyal. "Prima che i candidati vaccino vengano provati, potrebbero essere disponibili alcuni trattamenti efficaci. E sicuramente i coraggiosi volontari che arruoleremo dovrebbero avere accesso immediato a queste terapie". I precedenti – i cosiddetti "human challenge study" – non mancano: "Portiamo avanti studi di questo tipo per malattie meno mortali di questa" ha spiegato il ricercatore. "Per esempio per l'influenza, la colera e la malaria. Pensiamo ci sia una modalità per rendere questitest estremamente sicuri".

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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